Sarà anche indiscreto, ma chiedere a un collega quanto guadagna, ben presto, sarà anche una questione di trasparenza fissata per legge. Da oggi, infatti, entra in vigore una direttiva dell’Unione Europea che punta a contrastare il gender pay gap imponendo alle imprese di rendere accessibili le informazioni relative alle retribuzioni individuali e medie del personale prevedendo un sistema sanzionatorio per quelle che discriminano. Tutti i Paesi membri dell’Unione, da oggi, hanno tre anni di tempo per trasformare la direttiva in legge.
Ma quali sono le novità che dovrà contenere la nuova normativa? In primo luogo, come accennato, l’obbligo da parte delle imprese di mettere i dipendenti nelle condizioni di poter verificare che, alla stessa mansione, non venga attribuito un valore diverso a seconda di chi lo svolge. La legislazione incentiva i controlli interni dei dipendenti e chiede, inoltre, alle aziende di rendere trasparenti i criteri in base ai quali si stabilisce una data retribuzione, in modo tale da accertarsi che questi siano neutrali rispetto al genere e che, a parità di mansioni, non vi siano differenze salariali tra uomini, donne e persone non binarie.
Ma cosa succede nei casi in cui questa discriminazione venisse riscontrata? Con un divario retributivo di genere superiore al 5%, si prevedono sanzioni dissuasive per i datori di lavoro e, a differenza che nel passato, a quel punto, avranno loro l’onere della prova al fine di dimostrare che i criteri su cui si fonda la retribuzione non siano in alcun modo riconducibili alla discriminazione.
Sta di fatto che la direttiva Ue non sta mancando di generare già le prime polemiche. In un contesto generale di disaffezione al lavoro, si è fatto notare, i numeri di una iniquità retributiva che potrebbero essere scoperti dentro la propria azienda potrebbero essere il pomo di una discordia esplosiva. D’altra parte, il divario salariale è un problema in sé, ma anche la cartina di tornasole di stereotipi e pregiudizi di genere ancora radicati in un Paese come l’Italia. I dati di Eurobarometro lo confermano: da noi, l’opinione prevalente è che il ruolo delle donne non sia lavorare ma sostanzialmente prendersi cura della casa e dei figli. Tuttavia, le discriminazioni non riguardano solo loro: una recente indagine Istat–Unar (l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) ha mostrato quali e quante siano le discriminazioni che le persone Lgbt spesso devono subire sul posto di lavoro. In Italia, ancora troppo spesso, la retribuzione non riflette ciò che si fa ma ciò che si è.
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