Il rapporto AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati afferma che i laureati sono sempre meno disponibili ad accettare lavori a basso reddito o non coerenti con il proprio percorso formativo. A un anno dal titolo, infatti, tra i laureati di primo e di secondo livello, non occupati e in cerca di lavoro, la quota di chi accetterebbe una retribuzione al più di 1.250 euro è pari, rispettivamente, al 38,1% e al 32,9%.
Questi valori risultano in calo, nell’ultimo anno, rispettivamente, di 8,9 e di 6,8 punti percentuali.
Ma non è tutto: si dichiara disponibile ad accettare un lavoro non coerente con gli studi il 76,9% dei laureati di primo livello e il 73,0% di quelli di secondo livello. E anche in questo caso si tratta di valori in calo, nell’ultimo anno, rispettivamente di 5,9 e di 3 punti percentuali.
Sta di fatto che ci sono comunque delle lauree che, a cinque anni dal titolo, vantano performances occupazionali superiori al 90 per cento. Qualche esempio? Il gruppo ingegneria industriale e dell’informazione e per quello di architettura e ingegneria civile, a cui si aggiungono il medico-sanitario e farmaceutico e quello economico.
Viceversa danno garanzie inferiori alla media per i laureati di secondo livello le lauree nei campi arte e design, letterario-umanistico, politico-sociale e comunicazione, giuridico e linguistico: qui il tasso di occupazione è inferiore all’85%.
Il tutto, in un contesto che vede soprattutto i laureati in informatica e tecnologie Ict e quelli in ingegneria industriale e dell’informazione poter contare, a cinque anni dalla laurea, sulle più alte retribuzioni, con valori superiori a 2.000 euro mensili netti, mentre si posizionano abbondantemente sotto tale soglia i laureati del gruppo educazione e formazione (1.412 euro) e psicologico (1.470 euro).
In ogni caso, il rapporto Almalaurea non poteva non tener conto del fenomeno della fuga all’estero dei nostri laureati. Tra quelli di secondo livello con cittadinanza italiana, il lavoro all’estero riguarda il 4% degli occupati a un anno dalla laurea e il 5,5% degli occupati a cinque anni. La propensione alla mobilità internazionale per ragioni lavorative, che aveva subìto un’importante contrazione, in particolare nel biennio 2020-2021 a causa del Covid e del post-Covid, è in lieve ripresa, in particolare tra gli occupati a cinque anni dal conseguimento del titolo.
Ma perché i nostri laureati fanno le valigie? Il 32% dei laureati di secondo livello a cinque anni dal conseguimento del titolo dichiara di aver lasciato il nostro Paese avendo ricevuto un’offerta di lavoro interessante da parte di un’azienda che ha sede all’estero; il 27,4% spiega, invece, che si è trasferito oltre confine per mancanza di opportunità di lavoro adeguate.
E comunque basta soffermarsi sugli stipendi: complessivamente, i laureati di secondo livello all’estero percepiscono, a un anno dalla laurea, 2.174 euro mensili netti, +56,1% rispetto ai 1.393 euro di coloro che non sono partiti. E, a cinque anni, questo differenziale aumenta ulteriormente, sempre a favore degli occupati all’estero con una media di 2.710 euro: +58,7% rispetto ai 1.708 euro degli occupati in Italia.
Perché sette laureati su dieci che lavorano all'estero non vogliono tornare in Italia - Il Mondo del Lavoro