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I tre dati drammatici del mondo lavorativo italiano

Li ha snocciolati Inapp a Montecitorio: negli ultimi 30 anni, i nostri salari reali sono cresciuti dell'1% (a fronte del 32,5% dell'area Ocse), a ottobre abbiamo segnato il record di occupati col 61,8% (ma la media europea è del 78%) e, infine, per ogni 1000 impiegati giovani ce ne sono 1900 over 40

Il rapporto Inapp presentato ieri a Montecitorio evidenzia almeno tre dati drammatici riguardo il mondo del lavoro italiano.

Il primo è che i salari sono al palo da 30 anni: tra il 1991 e il 2022 i salari reali sono cresciuti del solo 1% a fronte di una media Ocse del 32,5%.

Il secondo è che, nonostante i toni soddisfatti del Governo, il tasso di occupazione record che si è registrato in Italia nel mese di ottobre (il 61,8%) deve vedersela con la media europea del 78%: una disparità enorme, che taglia letteralmente le gambe.

Il terzo dato preoccupante sottolineato dall’Istituto per le analisi delle politiche pubbliche, infine, è che i lavoratori in servizio sono sempre più avanti con l’età, soprattutto nella Pubblica amministrazione dove, per ogni impiegato di età compresa tra i 19 e i 39 anni, ce ne sono 4 adulti o anziani. In generale, poi, tenendo conto anche del privato, per ogni 1000 lavoratori giovani ce ne sono 1400 over 40.

Il nodo, a monte, che scatena tutti questi disequilibri sistemici è quello della scarsa produttività del sistema-Italia. Tant’è che la stessa Inapp ha sottolineato che “a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, la crescita della produttività è stata di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi del G7, segnando un divario massimo nel 2021 pari al 25,5%”.

Allora, che fare? Di fronte a questo quadro, la ministra del Lavoro Marina Calderone l’ha messa così: “Si intrecciano problemi strutturali di lunga data, ma ora credo molto nelle potenzialità del nuovo Sistema informativo di inclusione sociale e lavorativa (vedi qui): deve diventare una porta d’accesso efficace al mercato del lavoro. È il momento di puntare sul lavoro di qualità”.

Il presidente di Inapp, Sebastiano Fadda, invece, ha analizzato: “Dopo la crisi pandemica, le dinamiche del mercato del lavoro hanno ripreso a crescere, ma con rallentamenti dovuti sia a fattori esterni, dall’invasione della Russia in Ucraina, alla crisi energetica e alla crescita dell’inflazione, sia a fattori interni come il basso livello dei salari che si lega alla scarsa produttività, alla poca formazione e agli incentivi statali per le assunzioni che non hanno portato quei benefici sperati”.

Questo degli incentivi flop è in effetti un altro dente che duole moltissimo: sempre nel rapporto Inapp, si evince che più della metà delle imprese italiane (il 54%) ha assunto nuovo personale dipendente, ma solo il 14% lo ha fatto utilizzando almeno una delle misure incentivanti previste dallo Stato. Esse hanno interessato meno di 2 degli oltre 8 milioni di nuovi contratti attivati nel 2022 (il 23,7%). Quello che è andato meno peggio? Decontribuzione Sud: ha riguardato il 65% dei nuovi contratti. Ma, con tutta evidenzia, davanti a una situazione molto critica, dove il lavoro si fa sempre più povero, è come se tra gli italiani e i loro rappresentanti politici continuasse un dialogo tra sordi.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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