
Il 35% degli under 30 italiani si dice pronto a lasciare il nostro Paese per inseguire salari e stipendi più alti. La “generazione Z”, che dovrebbe fare la fortuna dell’Italia e della sua industria, rischia di sfuggirci di mano. Per un lavoro più gratificante, addirittura l’85% dei nostri giovani mette nel conto la possibilità di trasferirsi lontano da casa (oltre all’estero, il 18% si sposterebbe in Italia, il 32% nella regione, o in regioni limitrofe).
Ad accendere una nuova spia rossa sull’emergenza giovani è un’indagine condotta su un campione di 1.200 under 30 realizzata da Ipsos per la Fondazione Raffaele Barletta, che sarà presentata in Campidoglio, a Roma, mercoledì 10 luglio.
Tra il 2008 e il 2022, ha ricordato il governatore di palazzo Koch, Fabio Panetta, lo scorso maggio, sono andati all’estero per migliori prospettive di lavoro qualcosa come 525 mila giovani. Di questi solo un terzo è tornato in Italia. Hanno lasciato il Paese soprattutto i laureati. Il 4% degli occupati a un anno dal titolo e il 5,5% di quelli a cinque anni, ha aggiunto l’ultima indagine di Almalaurea, lavora all’estero. E fa tremare i polsi come, di tutti questi, il 70% o giù di lì esclude più o meno drasticamente il ritorno in Italia.
Basta guardare le paghe per capirlo. I laureati di secondo livello giunti oltre confine percepiscono, a un anno dal titolo, 2.174 euro mensili netti, +56,1% rispetto ai 1.393 euro di chi è rimasto. Dopo cinque anni la differenza sale a +58,7%, considerando che all’estero si arriva a percepire in media 2.710 euro, rispetto ai 1.708 degli occupati in Italia.
E se, come ci ha ricordato l’Istat, da qui al 2040 le persone in età lavorativa diminuiranno di 5,4 milioni di unità, malgrado un afflusso netto dall’estero di 170mila persona l’anno (questa contrazione si tradurrebbe in un calo del Pil del 13%), è facile comprendere le dimensioni che ha ormai raggiunto il problema, soprattutto al Sud.
Urge, quindi, trovare il modo di trattenere i talenti: “E’ necessario un netto cambio di mentalità, un approccio che ci possa avvicinare alle altre realtà europee o a quella americana – fanno sapere dalla Fondazione – Ad esempio, bisogna garantire ai nostri giovani che fare impresa non è una prerogativa dei figli d’arte o una remota alternativa. Dobbiamo impegnarci a creare un ambiente in cui i talenti possano restituire alla comunità attraverso iniziative di give back fungendo proprio loro da ambasciatori di questo nuovo corso. Se falliamo in questa missione, l’Italia rischierà, insieme alla scarsa natalità, di perdere delle importanti potenzialità di rimanere una delle economie principali al mondo”.