
Se la Cassazione si è espressa in maniera favorevole all’istituzione del salario minimo (ne abbiamo parlato qui), il Cnel, sollecitato dal governo, l’ha in pratica affossata. L’istruttoria che ha avviato sulla scorta della proposta di legge avanzata dal centrosinistra di istituire per legge un salario minimo per tutti di 9 euro lordi l’ora ha dato esito negativo.
Il documento che lo sancisce è stato approvato in commissione Informazione col solo no della Cgil e l’astensione significativa perché rompe ufficialmente l’unità sindacale della Uil. Il 12 ottobre ci sarà l’esito finale dell’organo consultivo, quello che sarà trasmesso al governo. Ma tant’è: non si prevedono colpi di scena.
Secondo l’istituzione guidata dall’ex ministro Renato Brunetta, in Italia, il salario minimo non s’ha da fare.
Sta di fatto che i partiti che, al contrario, lo propongono hanno già annunciato che rilanceranno la raccolta firme per farlo approvare e in Parlamento vorranno subito riprendere l’esame del testo.
Ma perché il Cnel ha bocciato il salario minimo? Il primo motivo è da ricercare nel fatto che la povertà lavorativa “è il risultato di un processo che va ben oltre il salario e che riguarda i tempi di lavoro (ovvero quante ore si lavora abitualmente a settimana e quante settimane si è occupati nel corso di un anno)”. In secondo luogo nella composizione familiare (e in particolare a quante persone percepiscono un reddito all’interno del nucleo). In terzo luogo nell’azione redistributiva dello Stato.
Molto più utile e urgente, quindi, sempre secondo il Cnel, sarebbe “un piano di azione nazionale, nei termini fatti propri dalla direttiva europea in materia di salari adeguati, a sostegno di un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva”. Il tasso di copertura, a tal proposito – ha fatto notare il Comitato nazionale per l’economia e il lavoro – è di gran lunga superiore all’80%, con paghe medie in linea con i parametri europei: 7,10 euro l’ora in base ai dati Istat del 2019.
E i contratti pirata? Per il Cnel, hanno una scarsa incidenza: interesserebbero solo lo 0,4% dei dipendenti nel settore privato (a eccezione di agricoltura e colf) rispetto al 96,5% di garantiti da contratti collettivi firmati da Cgil, Cisl e Uil.
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