
Perché l’Italia non è un Paese per giovani? Una risposta a questa domanda è arrivata con l’ultima relazione annuale dell’Istat secondo la quale i divari nei tassi di occupazione giovanili dell’Italia rispetto alla media dei 27 Paesi europei rimangono molto ampi. Tra i giovani diplomati e laureati 20-34enni la differenza con l’Europa è ancora più marcata: nel 2023, i tassi di occupazione per i neodiplomati e i neolaureati (rispettivamente 59,7 e 75,4 per cento) sono inferiori al valore medio europeo di oltre 18 punti per i primi e di oltre 12 punti per i secondi. I tassi di disoccupazione di questa fascia di popolazione (24,3 e 13,3 per cento) hanno valori almeno doppi rispetto a quelli medi europei.
Inoltre, rimane ampio il divario territoriale nella partecipazione dei giovani al mercato del lavoro. Nel 2024, la differenza tra Nord e Mezzogiorno nei tassi di occupazione dei 30-34enni è pari a +17,8 punti percentuali per i laureati, raggiunge +25,0 punti per i diplomati e arriva a +28,6 punti per i giovani con al più un titolo di studio secondario inferiore.
Una quota importante di giovani tra i 15 e 29 anni risulta non più inserita in percorsi scolastici o formativi né tantomeno impegnati in un’attività lavorativa (NEET): nell’UE27, l’Italia, nonostante il calo di 7 punti percentuali dal 2019, con il 15,2 per cento, è seconda solo alla Romania. Nel Mezzogiorno l’incidenza raggiunge il 23,3 per cento (9,8 nel Nord e 12,9 nel Centro); il 16,6 per cento tra le donne (13,8 tra gli uomini) e il 23,7 per cento tra gli stranieri (14,3 per cento tra gli italiani).
Il lavoro resta la principale motivazione migratoria e si riflette in tassi di attività tradizionalmente più alti rispetto agli autoctoni. Negli ultimi anni, i vantaggi occupazionali degli stranieri si sono attenuati e oggi il loro tasso di occupazione è simile a quello degli italiani dalla nascita. Tuttavia, la vulnerabilità lavorativa resta più alta tra gli stranieri. Il 29 per cento degli stranieri occupati ha un lavoro a tempo determinato e/o part-time involontario, contro il 24 per cento dei naturalizzati e il 17 per cento degli italiani dalla nascita.
Nel 2024, la forza lavoro inutilizzata, persone che potrebbero lavorare ma non lo fanno, conta circa 3,8 milioni di individui. Di questi, 1,7 milioni sono disoccupati e 2,1 milioni sono inattivi che non cercano lavoro ma potrebbero essere disponibili, oppure che lo cercano senza essere disponibili nell’immediato. Questa platea è composta in misura maggiore da donne, giovani sotto i 35 anni, residenti nel Mezzogiorno e persone con un basso titolo di studio.