
Confcooperative e Censis hanno acceso un riflettore sull’impatto che l’Intelligenza artificiale può avere sul nostro Paese. Dalla loro ricerca, emerge da una parte il Pil da qui al 2035 crescerà fino a 38 miliardi, vale a dire l’1,8% in più. Dall’altra, però, c’è da valutare l’impatto sul mercato del lavoro con 6 milioni di lavoratori a rischio sostituzione e 9 che potrebbero vedere l’Intelligenza artificiale integrarsi con le loro mansioni
Si tratta, quindi, di un conto economico in chiaro scuro quello che l’Intelligenza artificiale si appresta a presentare al nostro Paese. Per questo è sempre più necessario investire di più e meglio in ricerca e sviluppo e il paradigma va subito corretto: la persona va messa al centro del modello di sviluppo con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa.
L’Italia investe l’1,33% del Pil rispetto alla media europea del 2,33%. L’obiettivo UE è arrivare a una media del 3% per il 2030.
Intanto, quali sono le professioni più esposte alla sostituzione? Sono quelle intellettuali automatizzabili (contabili, tecnici bancari) e quelle ad alta complementarità che includono avvocati, magistrati e dirigenti.
Il grado di esposizione alla sostituzione o complementarità aumenta con l’aumentare del livello di istruzione, come dimostra il dato secondo cui nella classe dei lavoratori a basso rischio il 64% non raggiunge il grado superiore di istruzione e solo il 3% possiede una laurea. Per quanto riguarda le professioni ad alta esposizione di sostituzione, la maggior parte dei lavoratori (54%) ha un’istruzione superiore e il 33% un diploma di laurea. Inversamente, i lavoratori che più vedranno l’ingresso complementare delle IA nei processi produttivi posseggono una laurea (59%) mentre sono il 29% quelli con un diploma superiore.