Non il salario minimo, ma “il salario decente”: è quello che mette in campo la multinazionale francese Michelin per tutti i suoi 132 mila dipendenti sparsi per il mondo seguendo il dettame che chi guadagna meglio, lavora meglio e rende di più. A tutti, poi, indipendentemente dalle latitudini e dai continenti di ogni sede, è stata promessa pure una “base di protezione sociale universale”. Roba, insomma, da far inorgoglire l’Onu dove questi principi sono stati avallati e promossi.
Secondo il Patto mondiale delle Nazioni Unite, infatti, il “salario decente” è quello che permette a una famiglia di 4 persone (genitori e 2 figli) di “sopperire ai bisogni essenziali” come cibo, salute, trasporti e istruzione, ma anche di mettere da parte qualche risparmio e concedersi altri beni di consumo.
Ora: c’è da dire che, in Francia, per legge, esiste già il salario minimo (attualmente di 21.203 euro lordi a stagione, rivalorizzato regolarmente a secondo dell’inflazione). Ma, evidentemente, alla Michelin, hanno pensato che non bastasse per condurre una vita decente.
L’amministratore delegato del gruppo, Florent Menegaux, ha spiegato che in fondo è “un impegno logico verso chi consacra del tempo a svilupparsi e a sviluppare l’azienda”.
Di certo, per Michelin, si tratta pure di una scelta coerente con un’etica imprenditoriale che la caratterizza fin dal principio: i fondatori, i fratelli André e Édouard, vollero applicarla in ascolto addirittura alla dottrina sociale della Chiesa.
Concretamente, in linea con i suggerimenti dell’Onu sul cosiddetto «living wage» (o salario di sussistenza), Michelin intende allineare gli stipendi in funzione delle esigenze vitali dei lavoratori, sganciandoli dunque almeno in parte dal solo criterio classico della contrattazione sindacale. E ciò implicherà, di fatto, pure un calcolo differenziato in funzione dell’effettivo potere d’acquisto in ogni sede geografica. A parità di mansioni, sarà ad esempio più pesante la busta paga di chi lavora in una capitale onerosa come Parigi, rispetto a chi opera in capoluoghi ed aree più periferiche, o in Paesi del mondo con un costo della vita inferiore.
Secondo Florence Viala, responsabile delle buste paga del gruppo, il salario decente effettivamente calcolato sarà compreso in media fra 1,5 e 3 volte il salario minimo legale, laddove esiste. A Parigi, i salari così rivisti partiranno da una base minima decente di 39.638 euro lordi, mentre in Cina saranno dell’ordine di 69.312 yuan (circa 9 mila euro), ovvero più del doppio del salario minimo nazionale che serve da riferimento, attorno ai 29mila yuan.
Come accennato, saranno generalmente più generose di quelle in vigore pure le condizioni basilari della “protezione sociale universale”: prevederanno, ad esempio, anche un congedo di paternità di 4 settimane senza perdita di salario, accanto a quello di maternità che durerà almeno 14 settimane.
Il gruppo si mostrerà solidale anche con la famiglia di un proprio dipendente deceduto, alla quale sarà accordato l’equivalente di almeno un anno di retribuzione, oltre a un sussidio per l’istruzione dei figli.
La strategia è stata decisa dopo aver consultato l’ong Fairwage, l’organizzazione che si batte per l’estensione del salario decente. Ma Michelin considera la scelta un investimento: “Vogliamo che le persone s’impegnino pienamente in ciò che fanno”, ha spiegato l’ad Menegaux.
Sta di fatto che il colosso francese delle gomme non è l’unica multinazionale che ha scelto questa politica: impegnate in questa direzione ci sono anche Unilever, L’Oréal, Microsoft e Hitachi. Tutte pioniere verso un nuovo orizzonte.