Chi svolge un lavoro creativo è maggiormente al riparo dalla demenza. A indicarlo è uno studio diretto da Trine Holt Edwin dell’Università di Oslo, appena pubblicato su Neurology.
I titoli accademici, è il risultato della ricerca, proteggono solo in parte dal rischio di demenza in tarda età perché la grande difesa di una mente creativa è ciò che si fa dai 30 ai 65 anni. Quindi, il lavoro. Tant’è che potrebbe diventare quest’ultimo il simbolo di chi non svilupperà demenza o MCI, acronimo di mild cognitive impairment, cioè compromissione cognitiva lieve, la cosiddetta dimenticanza patologica che a volte, però, è l’anticamera della demenza.
Gli studiosi hanno verificato che le abilità cognitive acquisite a scuola sono pareggiate da attività lavorative cognitivamente stimolanti che poi si fanno nella vita. E la forza di questa stimolazione quotidiana si fa sentire ancor di più in chi ha un livello di scolarità basso. Chi è laureato, ma fa un lavoro routinario e poco stimolante, si difende dalla demenza alla pari con chi ha solo la licenza media o il diploma ma fa un lavoro creativo e stimolante.
Degli esempi di lavori salva-demenza? Gli orafi. O i sarti.
Ma, più in generale, quanto incide la routinarietà del lavoro?
Per verificarlo, i ricercatori hanno messo a punto un indice ad essa dedicato: più l’RTI è basso, più il lavoro è cognitivamente stimolante. Hanno un RTI basso insegnanti elementari e liceali, un RTI medio-basso assistenti d’infanzia e infermieri. Un RTI medio-alto, invecem negoziati e altri venditori al dettaglio.
E le nuove professioni? Oggi più che mai occorre tener conto della moderna automazione del lavoro: anche la catena di montaggio non è più il lavoro routinario di una volta, ma richiede nuove competenze per tecnologie di intelligenza artificiale, software, robotica e realtà virtuale, ad esempio.
Così, anche la semplice introduzione del pagamento con carta di credito – è stato osservato – ha richiesto ai negozianti nuove competenze digitali che li hanno stimolati cognitivamente.
Sta di fatto che, entro il 2030, in Italia, saranno automatizzati 7 milioni di posti di lavoro e ciò avvantaggerà il decadimento cognitivo dei colletti blu.
Tuttavia,bisogna ricordare che, fra i fattori da calcolare nel rischio di demenza, c’è anche l’occupazione retribuita, soprattutto fra i 45 e i 55 anni. E conta anche il pensionamento e l’assegno di pensione a cui vanno aggiunti lo stato civile (se si è coniugati o single), la solitudine o anche solo la sensazione di esserlo o il tempo libero disponibile per attività ricreative come andare al cinema o a teatro.
Non mancano ovviamente fattori più squisitamente organici come l’obesità, il diabete o il calo dell’udito, nonché insane abitudini di vita come il fumo e la poca attività fisica quotidiana.
In ogni caso, il lavoro è fondamentale per una buona salute mentale, soprattutto se si svolge in un ambiente stimolante: vivere insieme agli altri in maniera interattiva è la miglior strategia anti-demenza.