Nessun regalo sotto l’albero. Lo certifica anche l’Ocse: per i giovani che fanno oggi l’ingresso nel mondo del lavoro la pensione non potrà arrivare prima del compimento dei 71 anni d’età. Nel rapporto “Pensions at a glance”, si spiega che la previsione è legata all’aspettativa di vita. E si sottolinea come, nel nostro Paese, la spesa previdenziale rimanga molto elevata malgrado il livello del 33% di contribuzione versata per i lavoratori dipendenti sia il più alto dell’area Ocse. Il paradosso, quindi, è che i costi sono ancora in crescita, ma senza che ci siano particolari benefici.
Il report fotografa un futuro pensionistico preoccupante per le giovani generazioni. Chi nel nostro Paese inizia a lavorare adesso, a 22 anni, dovrà aspettare altri 49 anni per accedere alla pensione tenendo conto dell’adeguamento all’aspettativa di vita: 5 anni in più della media Ocse (66 anni), così come i coetanei estoni. L’attesa sarà più lunga solo per i danesi (74 anni), mentre anche svedesi ed olandesi potranno pensionarsi un anno prima degli italiani, a 70 anni. Quest’ultimi, però, potranno contare su un tasso netto di sostituzione (cioè la pensione in percentuale rispetto al salario medio) dell’83%, ben al di sopra della media Ocse, che si ferma al 61%.
Resta il fatto che quest’anno l’età pensionabile legale in Italia è di 67 anni, “in forte aumento dopo le riforme attuate durante la crisi finanziaria globale”. Ma l’Ocse fa anche notare che l’Italia garantisce ancora “un ampio accesso al pensionamento anticipato, spesso senza una penalità”. Nel mirino ci sono le cosiddette deroghe alle regole sul pensionamento di vecchiaia che si sono susseguite negli ultimi anni.
Sta di fatto che nel report non manca, poi, un’annotazione sul livello della contribuzione, al top tra i paesi Ocse. Un livello che, evidenzia l’Ocse, se da un lato assicura prestazioni pensionistiche più alte, dall’altro rischia di “danneggiare la competitività dell’economia e una riduzione dell’occupazione totale” con l’aumento del lavoro informale.
La spesa pensionistica, in ogni caso, si conferma un macigno per il nostro Pil: quella italiana, nel 2021, era la seconda tra i Paesi Ocse (al 16,3% del Pil). Una spesa che nel 2025 rimarrà comunque al 16,2% del Pil raggiungendo il picco nell’intera area (9,3% in media). E che, sulla base delle previsioni Ocse, continuerà a lievitare fino al 2035, quando raggiungerà il 17,9% del Pil, per poi cominciare a scendere.
Nel dossier, infine, si osserva che attualmente, nel nostro Paese, il tasso di occupazione nella fascia tra i 60 e i 64 anni, pur essendo cresciuto significativamente negli ultimi anni, è a quota 41%, contro il 54% nell’area Ocse. Come dire: nessun regalo di Natale, ma tanto squilibrio generazionale.