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Perché un professionista su tre continua a lavorare anche se sta in pensione

L'indagine di Adepp, l'associazione degli enti privati previdenziali

Lavorare sempre, anche dopo la pensione: capita a più di un professionista su tre, il 35%. Ma se si guarda ad avvocati, commercialisti, architetti e ingegneri ben più della metà di chi percepisce l’assegno continua a lavorare. Perciò la chiamano “silver economy” e nel XIV rapporto Adepp sulla previdenza privata, risulta quanto mai chiara.

Il numero dei pensionati attivi, infatti, è in espansione da tempo tra i liberi professionisti ordinistici : nel 2005 erano poco più di 42mila i pensionati attivi (il 3% rispetto a 1,251 milioni di iscritti semplici contribuenti ). Oggi sono oltre 119mila e valgono l’8% rispetto a 1,489 milioni di iscritti non pensionati.

Ma corrono molto di più rispetto ai semplici attivi: dal 2005 infatti sono aumentati del 183% rispetto al +19% degli iscritti attivi. Negli ultimi dieci anni, poi, questi ultimi sono cresciuti solo dell’1% mentre i pensionati attivi del 61%. Questa crescita a due velocità è, secondo Adepp, ormai strutturale, legata a fattori economici, sociali e culturali.

In effetti, le ragioni che entrano in gioco nella scelta di continuare a lavorare possono essere varie e molto diverse, da professionista a professionista: dalla voglia di non abbandonare subito professione, clientela e studio avviato, alla necessità di integrare l’importo dell’assegno, alla transizione nel passaggio generazionale.

Contano parecchio anche le dinamiche interne alle singole categorie: dalle opportunità di lavoro offerte ai pensionati da certe professioni, alle normative previdenziali di categoria. Perché ogni cassa ha regole diverse: avvocati consulenti del lavoro e geometri, ad esempio, possono andare in pensione anche a 60 anni con 40 di versamenti, i commercialisti a 61 con 38 di versamenti, solo per fare degli esempi. Queste diversità hanno un peso quindi anche nella estrema variabilità di pensionati attivi per categoria: per i commercialisti l’81% e per gli avvocati il 77%.

Certo è che la silver economy ormai gioca un ruolo fondamentale anche nell’equilibrio finanziario delle casse. Come per i lavoratori dipendenti, del resto, gli iscritti invecchiano: gli over 50 sono passati dal 25,2% del 2005 al 42,7% del 2023 (e la fascia dai 60 ai 70 anni, quella dei pensionati attivi vale il 17% di questa quota).

“I professionisti sotto i 30 anni dichiarano circa un quarto dei loro colleghi con età compresa tra i 50 ed i 60 anni”, spiega l’Adepp. Tradotto in numeri, significa che il reddito medio degli under 30 nel 2023 è stato di 16.954 euro contro i 55.483 euro dei 50-60enni. Nella fascia dei pensionati attivi (tra i 60 e i 70 anni) il reddito si assesta comunque a 53.495 euro.

Da qui quindi possono arrivare importanti flussi finanziari per gli enti previdenziali privati.

Non a caso se si guarda solo all’ultima riforma della previdenza privata in ordine di tempo, quella di Cassa forense, è stato deciso un forte aumento dell’aliquota contributiva proprio per gli avvocati pensionati attivi: dal 7,5 al 12% del reddito fino a 130mila euro (contro il 16% degli altri iscritti). Di questi solo la metà finirà nel montante pensionistico, con supplementi retrocessi ogni tre anni. Oltre il tetto dei 130mila euro è previsto comunque un 3% da versare come contributo di solidarietà.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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