
Ma lo sciopero indetto a cominciare da oggi da Cgil e Uil contro la manovra del Governo Meloni è giusto o no? E, soprattutto, è stata opportuna la precettazione del ministro Matteo Salvini al fine di limitare a 4 ore l’astensione dal lavoro almeno nel settore dei trasporti?
Ci sono, evidentemente, risposte differenti a queste domande.
Chi si è schierato contro la mobilitazione è Mario Ajello del Messaggero, ad esempio. Lo ha fatto sostenendo che il sindacato fa politica attraverso lo sciopero. Ma non solo: che il leader della Cgil, Maurizio Landini, in realtà, aspira ad essere il nuovo Prodi, nel senso che, dopo le elezioni europee, vorrebbe ricoprire i panni del nuovo federatore del centrosinistra.
“Lo sconfinamento politico del sindacato, senza la Cisl rimasta a presidiare il fronte della responsabilità, è una delle derive che sta vivendo l’Italia – si legge in un suo editoriale – E lo sciopero di oggi è un passaggio in questa tendenza estranea agli altri grandi Paesi europei. Demagogia e antipolitica sono il mix che spiega la scelta di Landini. Ma ai lavoratori che cosa ne va di tutto questo? Sembrano delle comparse passive, o degli scudi umani per strategie che, fingendo di tutelare i loro interessi, li trapassano e li cancellano. Il sindacalismo politico, quello che arriva a definire ‘squadrismo istituzionale’ le raccomandazioni dell’Autorità di garanzia sugli scioperi a tutela degli utenti dei servizi pubblici, fa un’opera di interdizione dura. Una sorta di intervento a gamba tesa rispetto alla corretta dialettica istituzionale tramite il quale si vuole portare il Paese più indietro e non più avanti. Sta nel binomio meno scioperi e più produttività la possibile chiave di svolta dell’Italia. Nel meno ideologia e più pragmatismo. In uno sforzo comune per non erigere le barricate ma trovare parole comuni nel rispetto dei diversi ruoli politici e di rappresentanza”.
“Lo sciopero odierno – conclude Ajello – è la negazione di tutto questo. Serve però, parola di Landini, a proporre «un altro modello di sviluppo». Espressione insignificante e che risulterà offensiva per chi, in queste ore, invece di guardare a un orizzonte alternativo, vorrebbe vedere all’orizzonte semplicemente un mezzo pubblico che si avvicina o un insegnante che entra normalmente in classe”.
Sta di fatto che, come detto, c’è anche chi la pensa diametralmente all’opposto. È il caso di Lorenzo Zoppoli, ordinario di diritto del lavoro presso la Federico II di Napoli, sulle pagine di Repubblica.
Per il docente, dello scontro in atto tra governo e sindacati “ciò che non si può considerare ordinario è il modo in cui si toccano delicati equilibri normativi che riguardano diritti costituzionali fondamentali non solo nazionali. Il diritto di sciopero è uno di questi: e regolare lo svolgimento di uno sciopero generale proclamato da due storiche confederazioni con un provvedimento amministrativo non è vicenda fisiologica”.
“È del tutto evidente – sottolinea Zoppoli – che il ministro Salvini ha usato come scudo per la precettazione l’interpretazione del quadro legislativo in materia di sciopero nei servizi essenziali fornita dalla Commissione di Garanzia chiamata a valutare proprio le modalità della protesta. Prescindendo dal gradimento governativo rispetto a questo orientamento, c’è da chiedersi se la Commissione di garanzia ha semplicemente applicato una norma assestata o ne ha creata una per il caso concreto. Nella prima ipotesi, il problema giuridico-istituzionale è in fondo banale: se la norma è stata interpretata correttamente, i sindacati devono solo adeguarsi perché la legge 146/90 riconosce alla Commissione il potere di fissare il precetto legislativo ancorché generico. E il governo in tal caso fa bene a rafforzare la delibera dell’Authority con una prescrizione volta essenzialmente a prevenirne la violazione anche se comunque impugnabile in sede giudiziaria. Purtroppo, però, mi pare che la decisione della Commissione cada piuttosto nell’altra ipotesi: cioè si è creata una regola nuova volta a porre limiti ad una specifica controversia. Infatti, nonostante il riferimento ad una giurisprudenza precedente, credo sia la prima volta che si neghi la natura di sciopero generale ad una protesta così qualificata dalle due grandi confederazioni che l’hanno promossa”.
“La qualità dei soggetti sociali destinatari delle regole è qui cruciale – spiega il docente – e non per il colore politico, ma per il ruolo istituzionale. Già nel 2013, nel noto caso Fiat, un improvvido disegno riformatore di diritti sindacali fondamentali fu bloccato dalla Corte costituzionale perché non teneva conto delle basi sociali su cui regge l’effettività delle regole della materia. Qui il tema è ancora più delicato: gli equilibri della legge 146 e lo stesso ruolo della Commissione di garanzia traggono origine e costante alimento in un sistema sindacale in cui sono protagoniste forze sociali che agiscono secondo principi di responsabilità solidale. Tra queste certamente Cgil e Uil. E la definizione di cosa è sciopero nonché della sua classificazione è uno snodo fondamentale della disciplina legale che non è stata mai sottratta alle principali parti sociali, ma adattata raggiungendo punti consensuali di convergenza e dando fondo a preziose risorse di accortezza politica e di sapienza giuridica”.
“La Commissione in questi giorni ha fatto un’operazione diversa – conclude Zoppoli – E il governo ne ha subito approfittato. C’è però da temere che in questo modo, in un ordinamento che non può e, si spera, non voglia revocare i diritti fondamentali, si raggiunga solo il risultato di depotenziare la capacità della legislazione di comporre i conflitti. Evocando in massimo grado il ruolo politico dei giudici, che suppliscono alle impazienze della politica. È una dinamica frequente ben descritta negli studi sulla funzione immunizzante del diritto di un grande sociologo tedesco, Niklas Luhmann. E non serve a rafforzare o far progredire la democrazia”.
Come sta andando la partita del salario minimo