
Lucia Bucci, esperta di risorse umane in Adp, una società che si occupa di soluzioni di gestione del capitale umano e leader nel campo dei servizi di outsourcing aziendale e analisi, in un articolo apparso sul Sole 24 Ore la scorsa settimana, ha avuto modo di osservare che “nel dinamico ambiente di lavoro odierno si sta verificando una affascinante convergenza: per la prima volta, ci sono cinque generazioni distinte che alimentano l’innovazione e guidano il successo. Stiamo parlando di Baby Boomer (i nati tra il 1946 e il 1964), Generazione X (1965-1979), Millennial (1980-1996), Generazione Z (1997-2012) e Generazione Alpha (dal 2012 in poi)”.
Sta di fatto che “questo panorama multigenerazionale offre opportunità uniche ai datori di lavoro ma presenta anche diverse difficoltà”. Per la manager, in ogni caso, “sebbene esistano differenze radicate tra il modo in cui le generazioni cresciute con Internet e quelle che non lo hanno fatto vivono e lavorano, per sfruttare i vantaggi di una forza lavoro multigenerazionale, i manager delle risorse umane dovranno adottare un approccio più personalizzato per reclutamento, ricompensa e fidelizzazione delle persone”.
Come? “Anche facendo svolgere sondaggi e incrementando discussioni individuali per comprendere esigenze e aspirazioni di ognuno e adattare di conseguenza programmi e attività. Adottando questo approccio personalizzato ed empatico – si dice convinta Lucia Bucci – le aziende possono creare una forza lavoro più inclusiva e coinvolta, favorendo collaborazione e produttività tra addetti di diverse generazioni”.
Tutto ciò sarebbe fondamentale, naturalmente, “in un momento in cui il mondo del lavoro, in parte per la pandemia, è irriconoscibile rispetto a quello del passato. I confini tradizionali sono sfumati: oggi i ventenni – osserva l’autrice dell’articolo – possono essere manager e i cinquantenni stagisti”.
La tecnologia ha avuto, ovviamente, un ruolo in questa accelerazione. E un recente studio dell’Adp Research Institute (People at work) ha evidenziato le diverse differenze esistenti tra generazioni: “I lavoratori più giovani cercano uno scopo piuttosto che il puro stipendio. La generazione Z (1997-2012) desidera sempre più svolgere un lavoro che ritiene possa fare la differenza. I giovani vogliono lavorare per un datore di lavoro in cui credono e desiderano una cultura diversificata e inclusiva in ufficio. Sono più interessati alla flessibilità dell’orario di lavoro (36%) che alla sicurezza del lavoro (32%). I Millennial (1980-1996) e la Generazione X (1965-1979), invece, pensano in modo differente. Quasi sette su dieci (69%) della Gen X e il 63% dei Millennial desiderano la sicurezza del lavoro. Queste generazioni si trovano al crocevia tra il vecchio e il nuovo. I Baby Boomer (1946-1964), infine, non guardano l’orologio e preferiscono ‘tenere la testa bassa’: vogliono uno stipendio competitivo (62%), ma anche godersi il proprio lavoro (59%). Probabilmente – osserva ancora Bucci – usano la stampante dell’ufficio e non si fidano del cloud. Ma anche se spesso trascurati dai datori di lavoro, sono molto leali perché provengono da un’epoca in cui le dinamiche lavorative erano più rigide”.
A un buon datore di lavoro, quindi, il compito di combinare al meglio le caratteristiche delle varie generazioni che oggi si ritrovano fianco a fianco nello stesso ufficio.