
Ben 800mila sono le Partite Iva che potrebbero avere i giorni contati: alla ripresa dopo il periodo ferragostano, l’Agenzia delle Entrate continuerà ad inviare ai titolari una comunicazione preventiva della chiusura d’ufficio in quanto risultano ferme da troppo tempo.
Perché questa decisione? Per seguire le nuove norme dettate dal Testo unico delle imposte sui redditi che impone la cessazione delle Partite Iva se negli ultimi 3 esercizi, riguardanti il 2019, il 2020 e il 2021, la società non ha presentato la dichiarazione Iva, né redditi di impresa o di lavori autonomi.
Entro 60 giorni dall’avviso dell’Agenzia, i contribuenti potranno fornire chiarimenti e eventualmente bloccare la cessazione. Ma per le imprese e i professionisti si preannuncia ben altra musica. L’obiettivo, infatti, è quello di colpire la pratica con la quale si aprono e chiudono attività una volta giunto il momento di pagare le imposte.
La cessazione d’ufficio scatta per le Partite Iva caratterizzate da profili di “grave e/o sistematica evasione e inadempimento fiscale” nell’esercizio di attività che si esauriscono dopo breve tempo. In questi casi, chi si vede chiudere la Partita Iva può chiederne un’altra solo presentando una fideiussione di 3 anni con un minimo di 50mila euro o comunque un importo parametrato alle violazioni commesse.
L’operazione anti-truffe è partita a metà maggio. Il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha definito i criteri per individuare le partite Iva “apri e chiudi” da controllare e le verifiche hanno già condotto a 1200 cessazioni d’ufficio. Dopo tre mesi, le regioni più colpite sono risultate la Lombardia (359), il Lazio (254), la Campania (166), la Toscana e il veneto (105), molte delle quali di cittadini stranieri.