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Gen Z: un giovane su due lascia il lavoro per malessere psicologico

Ieri si è celebrata la Giornata Mondiale della salute mentale: un tema spesso sottovalutato per chi ha un impiego. Gli studi dell'Oms, Ernst & Young (e la sottolineatura della sociologa de "Le grandi dimissioni")

Ieri, 10 ottobre, si è celebrata a Giornata mondiale della salute mentale con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza su questa problematica e combattere lo stigma e le discriminazioni che colpiscono le persone che ne soffrono. Il tema della campagna 2023 è stato “La salute mentale è un diritto universale”. In quanto tale, quindi, esso va rispettato in ogni ambito. Anche in quello lavorativo.

Ma proprio in questo campo, com’è la situazione? Niente affatto rosea: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, da oggi al 2030, andranno perse qualcosa come 12 miliardi di giornate lavorative e ben un trilione di dollari all’anno a causa di depressione e ansia. Ma non solo: stando a una analisi di MindWork e Bva Doxa, addirittura un giovane su due, ad oggi, lascia il lavoro per motivi legati al malessere psicologico.

In effetti, oggi, nelle aziende, il carico emotivo e relazionale è aumentato non solo nei casi in cui vi sia un rapporto diretto con i clienti, ma anche nella richiesta, sempre più spinta, di collaborazione a tutti i livelli. Alle lavoratrici e ai lavoratori si chiede di essere costantemente connessi, sinergici e cooperativi. E questo comporta un carico emotivo anche in professioni che tradizionalmente non si sarebbero considerate a rischio burnout.

Ma il fenomeno si ferma in questo perimetro? Oggi, Francesca Coin, la sociologa delle tematiche legate al lavoro (abbiamo parlato del suo libro-manifesto, “Le grandi dimissioni”, qui), sul Sole 24 Ore, si chiede quale sia il rapporto della Gen Z con il lavoro.

Nata tra il 1997 e il 2012, essa è cresciuta in un’epoca segnata da crisi continue: la crisi pandemica, climatica, la guerra e le crisi finanziarie che si sono succedute a partire dal fallimento di Lehman Brothers. E Coin fa riferimento a un rapporto di Ernst & Young che, secondo lei, ha sfatato alcuni luoghi comuni: “Per la Generazione X – si legge in questo report – avere un lavoro secondario era fonte di vergogna, spesso lo accettava per disperazione o per sbarcare il lunario e tirare avanti. Per la generazione Z, invece, avere più impieghi è una scelta necessaria. Ma lo scopo non è arricchirsi: solo sentirsi al sicuro”.

Come dire: per gli under 26, l’assillo della precarietà incide sulla stessa percezione del denaro e sull’approccio al lavoro. “Rispetto al passato, il costo dei beni e dei servizi primari è aumentato. La casa, le cure sanitarie e l’istruzione impongono sulle nuove generazioni una pressione economica senza precedenti – sottolinea Coin sempre dal rapporto Ernst & Young – In anni segnati dall’inflazione e dai bassi salari, per questo, non sorprende che la Gen Z abbia preoccupazioni finanziarie solitamente riservate all’età adulta”. Con tutto ciò che ne consegue, naturalmente, dal punto di vista psichico.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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