
La crescita della popolazione mondiale si arresterà ben prima della fine di questo secolo: ovunque il calo della fecondità è stato più forte di quanto ci si aspettasse. Ma che effetti avrà sul mondo del lavoro? Nei giorni scorsi, in vista del Festival internazionale dell’Economia in programma a Torino dal 30 maggio al 2 giugno prossimi, ha tentato di dare una risposta a questa domanda l’economista ex presidente dell’Inps Tito Boeri sulla pagine de La Stampa.
“Il calo della popolazione mondiale avrà effetti sulla crescita economica, sul tasso di innovazione e sul mercato del lavoro – ha riflettuto Boeri – Siamo passati da un mondo in cui c’erano troppo pochi lavori a uno in cui ci sono troppo pochi lavoratori. L’insieme dei Paesi Ocse soffre oggi di carenze di manodopera a tutti i livelli. Ma i giovani dei Paesi avanzati hanno aspirazioni professionali spesso molto diverse da quelle per cui oggi si cerca personale. Tra le mansioni più richieste figurano l’assistenza domestica alle persone non autosufficienti, gli addetti alle pulizie, i camerieri, i baristi, tutte attività che offrono salari bassi, ritmi lavorativi molto pesanti, scarse prospettive d carriera e in cui una grande percentuale di lavoratori dichiara di non riuscire ad arrivare a fine mese”.
Boeri, poi, ha indagato sul fenomeno dei Neet: se una volta si viveva un periodo di disagio attorno ai cinquant’anni, ora i più infelici risultano essere i ragazzi:
“Superata l’adolescenza, il più potente strumento contro il disagio giovanile è rappresentato dalla realizzazione delle proprie aspirazioni professionali – ha scritto l’economista milanese – Ma la transizione dalla scuola al lavoro è spesso difficile, soprattutto in Italia tant’è che mezzo milione di giovani spesso altamente istruiti hanno lasciato il nostro Paese negli ultimi dieci anni. Invece di interrogarci sulle ragioni di quest’esodo, l’attenzione generale è concentrata sull’immigrazione. Ma le proposte messe in atto per contenere i flussi migratori finiscono soprattutto per rendere più difficile l’integrazione e rendono l’immigrazione una emergenza continua. Eppure, mai come oggi i Paesi più ricchi avrebbero bisogno di manodopera immigrata”.
Una scelta obbligata, secondo Boeri: “Nel breve periodo, è spesso l’unica risorsa cui attingere per soddisfare le esigenze di famiglie e imprese alla disperata ricerca di personale che si prenda cura di famigliari non autosufficienti e di lavoratori in una vasta gamma di mansioni”
Senza contare che “l’immigrazione serve anche a migliorare i conti pubblici – ha osservato l’ex presidente dell’Inps – Rende più sostenibili i sistemi pensionistici per il semplice fatto che gli immigrati sono più giovani della popolazione autoctona, amp0liando il numero di coloro che versano i contributi previdenziali rispetto a quello di chi riceve questi versamenti sotto forma di pensioni”.