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Che otto marzo sarà per le donne lavoratrici

Nonostante qualche progresso, l'Italia resta indietro nella classifica dell'occupazione femminile. E ben 8 milioni un impiego non lo cercano nemmeno più (anche perchè il gender pay gap è duro a morire)

Con l’otto marzo alle porte, è più che mai attuale chiedersi quale sia la situazione delle donne nel mondo del lavoro italiano. Come ha notato l’Istat nel suo Rapporto 2023, negli ultimi dieci anni, il numero delle lavoratrici è aumentato di quasi un milione e l’incidenza delle donne sugli occupati è salita dal 39,4 al 42,2%. Sta di fatto che, nonostante questi progressi che hanno portato il numero complessivo di donne con un lavoro a toccare i 10 milioni, il divario con la media Ue a 27 rimane ampio: esso, infatti, è del 46,3%.

L’Italia resta, insieme a Malta e Grecia, uno dei Paesi europei con la più bassa componente femminile nell’occupazione. Ma non solo: c’è da dire che, a livello generale, il calo demografico ha fatto diminuire anche il numero delle donne in età lavorativa fra i 15 e i 64 anni: erano 19,1 milioni nel 2019 e 18,6 nel 2023, solo quattro anni più tardi. E poi: le donne disoccupate oggi sono 900 mila. Significa che ci sono circa 8 milioni di donne inattive, cioè che un lavoro nemmeno lo cercano.

A fronte di questo, non si può in ogni caso sottacere nemmeno un altro dato: quello di una enorme disparità territoriale. Le regioni del Nord hanno tassi di occupazione femminile più vicini alla media Ue. In Trentino Alto Adige addirittura raggiunge il 66,2%. Dall’altro capo della penisola, invece, in Campania, Calabria e Sicilia, il tasso di occupazione femminile precipita attorno al 30%. Il Mezzogiorno è penalizzato da bassi tassi di crescita, ritardi infrastrutturali e scarsa incidenza dei laureati.

Il nodo però, non si scioglie nemmeno con l’entrata nel mondo del lavoro. In media, infatti, le lavoratrici continuano a guadagnare meno dei lavoratori. A livello europeo, Eurostat rileva un gender pay gap calcolato sulle retribuzioni orarie del 13%.

L’Inps, poi, recentemente, ha posto in evidenza innanzitutto che le donne sono nettamente prevalenti in alcuni settori come la sanità e l’istruzione e meno in altri come la finanza, le assicurazioni, la manifattura. E che in ogni caso sono concentrate nelle qualifiche più basse: rappresentano il 58,4% del totale degli impiegati ma solo il 21% dei dirigenti.

Il part time, poi, è molto più diffuso fra le lavoratrici: nel settore privato, il 47,7% delle donne è occupata a tempo parziale a fronte del 17,4% degli uomini. E nel Sud questi numeri sono ancora più grandi (in Puglia, il 58,8% delle donne e il 25,8% degli uomini; in Campania, il 58,1% delle donne a fronte del 28% degli uomini). Meno ore lavorate, naturalmente, significano meno ore retribuite a fine mese.

Ma l’Inps sottolinea anche un altro dato: persino a parità di qualifica le dirigenti guadagnano meno: circa 35 mila euro. Perché? Presto detto: di solito, hanno meno opportunità alle quali possono accedere a causa del lavoro di cura dei familiari. Per questo, hanno più difficoltà ad accettare trasferte e incarichi aggiuntivi, ad esempio, elementi che comportano premi di produttività, incentivi monetari e avanzamenti di carriera.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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