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Salario minimo, i pro e i contro di una misura al centro della discussione parlamentare

In Italia, gli stipendi non crescono da 20 anni. E la partita che si sta giocando ora coinvolge molti più aspetti di ciò che sembra

Con la proposta di legge presentata unitariamente dalle opposizioni, in questi giorni, è tornato di forte attualità il tema del salario minimo. Il centrosinistra lo vorrebbe introdurre con una legge che lo fissi a 9 euro. Ma, per ora, la risposta del Governo e della maggioranza è stata gelida. Anche i sindacati sono spaccati sul da farsi. Luigi Sbarra, il segretario della Cisl, ad esempio, ha spiegato che, dal suo punto di vista, il salario minimo fissato per legge “è pericoloso”. E che “sarebbe meglio avere la certezza del rinnovo dei contratti”. “Il rischio – ha spiegato il numero uno della Cisl – è quello di innescare una spirale al ribasso a danno dei più deboli. Una vera soluzione sarebbe una riforma dei redditi a partire dal fisco e dalla lotta alle speculazioni”. Sul fronte Cgil, invece, Andrea Borghesi, segretario generale Nidil, la sigla che si occupa dei lavoratori atipici, si è detto convinto che il salario minimo a 9 euro anche per i rider e i lavoratori dei call center, tanto per citare due esempi, è “realistica e avrebbe un impatto positivo”. Quanto all’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico l’ha messa così: “Il salario minimo aiuterebbe lo Stato perché le casse pubbliche godrebbero di un gettito maggiore di ben 1,5 miliardi e, contemporaneamente, si avrebbe una minore necessità di sussidi”. Non solo: a quel punto, per Tridico ci sarebbe anche “la possibilità di aumentare le pensioni del 10% per contrastare in maniera giusta l’inflazione”. L’economista Tito Boeri, in Commissione Lavoro, ha ricordato che “il salario minimo nel Regno Unito è in vigore da 20 anni e ha portato a ridurre le diseguaglianze salariali senza ridurre l’occupazione”. Non solo: col salario minimo, secondo Boeri, è migliorata soprattutto la condizione delle lavoratrici donne. Certo, bisogna sempre tenere a mente lo specifico quadro su cui si va ad agire. In Italia, fonte Ocse, gli stipendi sono fermi da vent’anni. Nel 2022, sono aumentati del 2,3% contro una media Ue del 4,4%. Considerando un’inflazione media dell’8,7%, è chiaro come l’aumento sia stato del tutto insufficiente e non abbia scongiurato affatto una notevole perdita di potere d’acquisto. Ma perché da noi gli stipendi non crescono? Con un Pil stagnante (tranne che per le recessioni del 2008-2009 e del 2020), la retribuzione media in Italia è cresciuta dello 0,5% contro il 20,1% in Germania e il 23,9% in Francia. A fare quest’enorme differenza è la produttività che, a sua volta, dipende da vari fattori come la tecnologia, gli investimenti in ricerca, l’istruzione e la formazione dei lavoratori, le modalità con le quali essi sono inseriti nelle dinamiche aziendali. Ma un altro fattore che ha impedito la crescita naturale degli stipendi, in effetti, come ricordava Sbarra, è stato anche il mancato rinnovo di numerosi contratti collettivi di lavoro i quali stabiliscono, tra le altre cose, pure la retribuzione minima per ogni livello contrattuale. Come dire: la partita del salario minimo che ci si appresta a vivere in Parlamento si gioca su un campo molto più vasto rispetto a ciò che sembra.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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