Lo smart working è senz’altro una conquista, uno dei pochi lasciti positivi della pandemia. Ma ora è venuto il momento di regolarlo meglio. Così, inizia la battaglia per far approvare la proposta di legge sul diritto alla disconnessione con un’iniziativa promossa in primis da L’asSociata, realtà nata circa sei anni fa per avvicinare i giovani alle istituzioni.
La proposta è stata depositata in Parlamento a luglio da alcuni deputati del Partito democratico: il capogruppo dem in commissione Lavoro, Arturo Scotto in primis.
Diritto alla disconnessione significa non dover essere “costantemente reperibile fuori dall’orario di lavoro e, quindi, avere la libertà di non rispondere alle comunicazioni di lavoro nei turni di riposo”, senza dover temere alcuna conseguenza per la propria posizione.
Certo, può sempre capitare di dover riaccendere il computer per un’urgenza. In quel caso, però, secondo la proposta, il datore di lavoro sarebbe tenuto a specificare che si tratta di una situazione eccezionale, da retribuire come straordinario. Altrimenti, per un minimo di dodici ore dalla fine del turno, il lavoratore deve essere lasciato in pace. Inoltre, L’asSociata propone che le aziende con più di quindici dipendenti forniscano a loro spese gli strumenti digitali ai propri lavoratori: troppo spesso, infatti, smartphone, cellulari e tablet personali coincidono con quelli usati per lavorare. Ed ecco che aumenta la possibilità di ricevere messaggi dall’ufficio in ogni momento. La proposta di legge, inoltre, non è pensata per regolamentare solo il rapporto capo-dipendente: il diritto alla disconnessione è valido anche tra colleghi.
E quindi: niente email o WhatsApp alle nove di sera o durante il fine settimana: chi non rispetta il diritto alla disconnessione rischia “una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 3.000 euro per ciascun lavoratore interessato”.
Sta di fatto che, secondo i promotori dell’iniziativa, all’origine della costante reperibilità e delle problematiche da essa derivanti (ansia, stress e insonnia) vi sono il precariato e la mancanza di una adeguata retribuzione, per non parlare della piaga del lavoro nero in Italia. Tutte condizioni che inducono lavoratrici e lavoratori a sentirsi costantemente messi alla prova e in competizione con colleghe e colleghi.