
Italia e Germania stanno litigando ancora una volta sulla gestione dei migranti. Eppure, è un fatto acquisito dallo stesso governo italiano in carica che, per la nostra economia e il nostro welfare, serve importare nuova manodopera (ne abbiamo parlato qui). Ciò nonostante, l’atteggiamento di fronte a questa problematica resta di tipo punitivo: la garanzia di quasi 5000 euro per non essere rinchiusi in un centro detentivo in attesa del rimpatrio ne è solo la dimostrazione più lampante.
Il segreto del successo del modello tedesco, invece, qual è? La Germania, in proporzione, ospita molti più migranti dell’Italia. E, a ben vedere, la sua chiave di volta è costituita proprio dal lavoro. I tedeschi, fin dal 2015, hanno investito miliardi di euro per costruire un sistema che rendesse l’inserimento dei migranti nella società e nel mercato del lavoro sempre più facile.
Oggi, chi arriva in Germania viene assegnato a un centro di prima accoglienza in uno dei suoi sedici Land, in base a un algoritmo che considera la popolazione locale. Ai migranti vengono garantiti vitto, alloggio e assistenza sanitaria. Ognuno di loro, inoltre, può presentare immediatamente domanda di asilo. A quel punto, l’esame della richiesta si esaurisce, in genere, nel volgere di sei-sette mesi.
La grande differenza rispetto all’Italia sta proprio in questo frangente: durante questo periodo, i richiedenti asilo possono partecipare ai corsi di lingua e di integrazione organizzati dalle amministrazioni locali e dai Centri per l’Impego. I dettagli di ogni sistema regionale sono determinati dai singoli Land, ma la filosofia di base è simile: prima il migrante inizia a lavorare, prima inizia a pagare le tasse.
L’obiettivo, quindi, è innescare nel più breve tempo possibile un circolo virtuoso che permette di ripagare gli investimenti esosi che il sistema richiede e in prospettiva garantisce al Paese la forza lavoro necessaria in una fase storica di grande denatalità.
E questa sembra proprio una scommessa vincente: stando all’Iab, il Centro studi sul mercato del lavoro tedesco, il 54% delle persone che sono arrivate in Germania sei anni fa, oggi, ha un posto di lavoro. Non solo: due su tre hanno un contratto a tempo pieno. Una prova evidente di come i corsi di integrazione e lingua finanziati interamente o in parte dallo Stato facciano la differenza.
Il salto di qualità, come accennato, è arrivato proprio nel 2015, quando è stata ampliata la possibilità di assumere i richiedenti asilo e di far svolgere loro percorsi di formazione professionale. Un investimento delle aziende che sono poi motivate a spendersi per la permanenza nel Paese (e in azienda) di quelle persone.
L’obiettivo ultimo del sistema è di tenere i migranti il più possibile fuori dai circuiti illegali e inserirli nel mercato del lavoro e nel sistema pensionistico. Un principio che vale, addirittura, anche per chi si è visto negare la richiesta di asilo ma non è stato ancora rimpatriato: anche a questi migranti è concesso lavorare in un regime di tolleranza. Ed è una condizione che riguarda circa 240mila persone.
È stato calcolato che la Germania abbia bisogno di almeno 400mila lavoratori migranti ogni anno, un traguardo ancora molto lontano dall’essere raggiunto. Tanto che si pensa a nuove soluzioni per allargare le maglie dell’accoglienza. In Italia, però, bene che vada, si preferisce navigare a vista con il succedersi dei Decreti Flussi. Ma, sostanzialmente, considerando i migranti mai come una risorsa per l’economia nazionale, ma sempre come un peso di cui liberarsi al più presto. Un peccato, non solo dal punto di vista umanitario.