
Il futuro demografico dell’Italia continua a colorarsi con tinte fosche. Secondo l’Istat, nel 2050, il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non passerà dall’attuale tre a due a uno e uno. Il sistema di welfare, quindi, sarà al collasso. Ma non solo: se, al primo gennaio 2022, la popolazione residente è stata di 59 milioni, nel 2050, sarà di 54,4 milioni e il Sud in particolare soffrirà un vero e proprio spopolamento: dagli attuali 19,9 milioni passerà ai 16,3 nel 2050. Già entro il 2042, poi, solo una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più una su cinque non ne avrà.
Ma tant’è: sarà una conseguenza inevitabile uno sconvolgimento anche del mondo del lavoro. E lo sarà tanto più nelle Regioni già ora in difficoltà. Al Sud, infatti, già adesso, oltre a una decrescita demografica, si registra il fenomeno dell’emigrazione di giovani altamente formati (leggi qui).
Perché? Oltre a non trovare opportunità di lavoro, a Napoli, tanto per dirne una, i laureati, in media, sono pagati 10 euro in meno ogni ora rispetto a Milano. E Luca Bianchi, direttore di Svimez, alla domanda come invertire il trend, ha avuto modo di osservare: “Bisogna cambiare l’offerta occupazionale nel Sud. Oggi, il sistema produttivo meridionale crea posti di lavoro che non corrispondono alla qualità dei nostri giovani con livelli retributivi estremamente bassi. C’è dunque bisogno di un processo di innovazione del sistema produttivo, un nuovo modello di sviluppo che non sia, però, legato solo al turismo. Continuando così, infatti, non si realizzerebbero le aspettative dei giovani meridionali: non possiamo proporre ai laureati un futuro tutto da portieri dei B&b o da bagnini con contratti stagionali. Dobbiamo ribaltare il sistema provando a fare del capitale umano qualificato del Sud il fattore di attrazione di investimenti in settori innovativi, accompagnando le imprese con interventi volti a aumentare la loro dimensione e a favorire gli investimenti in tecnologia: sono queste le politiche che creano spazi per nuove assunzioni di laureati. Ad esempio, a Napoli, bisognerebbe abbandonare il modello pizza e clichè e fare della città la metropoli dell’innovazione legata alla transizione ecologica. In questo il Pnrr può essere un’opportunità”, ha concluso Bianchi.
Ma perché finora il Pnrr ancora non si è rilevato un vero fattore di crescita? “Perché – è stata la risposta del direttore Svimez – ha dietro un sistema di politica industriale estremamente debole che non ha identificato le specializzazioni su cui investire”.