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Settimana corta, ecco chi si schiera a favore

Avanza l'idea di fissarla a quattro giorni: per Marco Bentivogli, ex numero uno di Fim Cils, una occasione per lavorare meglio

Oltre che quella del salario minimo, un’altra proposta che sta caratterizzando il dibattito per riformare il mondo del lavoro è quella di introdurre la settimana di quattro giorni. Questo, un po’ sulla scorta di una legge approvata lo scorso febbraio in Belgio che anche l’ex segretario generale della Fim Cisl, Marco Bentivogli, in un suo scritto apparso nei giorni scorsi su Repubblica, ritiene “molto interessante”.

Di cosa si tratta? La normativa di Bruxelles incide sulle nuove forme di organizzazione del lavoro. E, tra esse, pone attenzione proprio sull’idea di rimodulare l’orario settimanale (che lì è di 38 ore) su 4 giorni lavorativi. Il datore di lavoro può respingere tale richiesta, ma solo a fronte di oggettive motivazioni.

Sta di fatto che la riduzione (o la rimodulazione su 4 giorni) della settimana lavorativa si sta diffondendo anche in Francia, Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia, Svizzera, Regno Unito, Spagna e Portogallo. Alcuni Paesi hanno approvato nuove leggi. Altri stanno sperimentando il 4 week day global in alcuni gruppi di aziende.

E in Italia? “Ad eccezione dei piani del Gruppo Intesa e Lavazza, da noi non c’è alcun progetto”, fa presente Bentivogli. Ma anche da noi “quello che è in crisi è l’assetto spazio-temporale del lavoro. Sullo “spazio” – ragiona il coordinatore di Base Italia – il divorzio tra “attività” e “luogo” di lavoro, anche solo ibrido o parziale, è sempre più diffuso. Sul tempo, la scansione tradizionale degli orari: 8 ore al giorno, 40 ore a settimana su 5 giorni, 1760 ore annue, è sempre meno rispondente alle evoluzioni organizzative, tecnologiche e delle nuove forme del lavoro. Ma è singolare che a ciò si arrivi non per conquiste sindacali, ma grazie alla spinta tecnologica e culturale sulle nuove forme di organizzazione del lavoro”.

Il nocciolo della riflessione dell’ex numero uno di Cisl è che “il lavoro e la sua contrattualistica sono sempre meno lo scambio tra prestazione e salario. È uno scambio, da anni, sempre più povero che non riconosce il cambiamento di natura del lavoro”. Per questo, “la contrattualistica del lavoro dovrà essere sempre meno “scambio” ma condivisione di progetti e valorizzazione di risultati e benessere della persona. Gli ingredienti del lavoro sono sempre più autonomia, libertà, responsabilità e fiducia. In questo contesto, il ruolo preminente del tempo nella valorizzazione e remunerazione del lavoro è in crisi. La paga oraria può essere sempre più configurata come parametro minimo ma insufficiente per riconoscere in modo pieno il valore economico e professionale del lavoro. L’orario contrattuale ancora utile per definire l’orario massimo ma sempre più lontano dall’essere un perimetro entro cui scorre il nastro del lavoro”.

Bentivogli, allora, pensa che la libertà di orario non possa essere solo una prerogativa aziendale: “Non aver impugnato la libertà di orario rischia di non accogliere neanche la sua riduzione, ma in qualche caso l’aumento. Nel nostro Paese, c’è sempre un approccio reazionario con il cambiamento. Tra 30 anni avremo 8 milioni di italiani in età da lavoro in meno. I nuovi sistemi di organizzazione del lavoro e le nuove tecnologie consentono guadagni di produttività e riduzione della fatica. Ridurre e rimodulare gli orari, perciò, è urgente”.

Ancora: “Tra un terzo e la metà dell’energia a livello globale è impiegata per la climatizzazione degli immobili – riflette l’ex sindacalista – Ma ridurre i giorni di apertura dei luoghi di lavoro consente di ridurre il consumo energetico e le emissioni per la climatizzazione e per la mobilità in modo considerevole. Il work from anywhere consente di ridurre e rimodulare gli orari attorno alla persona e diventare smart working. Tuttavia, questo non in automatico. Se non costruiremo architetture nuove di lavoro, c’è il rischio dell’ibridomania, ovvero il degrado del lavoro ibrido senza orario perché si lavora sempre ma si è pagati 8 ore. Non solo: ci sarà un distacco crescente di opportunità tra chi avrà autonomia e libertà nell’organizzazione del lavoro e chi avrà più difficoltà a remotizzare l’attività. Per il lavoro manuale, il lavoro di cura e in genere il lavoro non remotizzabile sarà decisivo ridurre gli orari e aumentare i salari”.

Per questo, per l’esperto di politiche di innovazione, “lo scongelamento delle vecchie rigidità di spazio e tempo di lavoro deve prevedere un orario di cittadinanza e la possibilità di flessibilità vere per volontariato, cultura, formazione. Libertà di andare in montagna il mercoledì e lavorare la domenica. Più gradi di libertà per più spazio alle passioni e al proprio equilibrio. I fenomeni delle grandi dimissioni, l’aumento delle dimissioni volontarie e del quiet quiting (ne abbiamo parlato qui, ndr), la tattica opossum per cui, nonostante il lavoro chieda più partecipazione, si fa il minimo indispensabile, ci si finge morti come l’opossum, per l’appunto: per questo, il lavoro e la sua contrattualistica basata sullo scambio prestazione/lavoro sono sempre più inadeguati”, conclude Bentivogli.

Questo, mentre “il lavoro per obiettivi ha senso se dentro la condivisione di un progetto di realizzazione, di crescita, di costruzione di valore comune, di solidarietà. La settimana corta, quindi, è solo una tappa intermedia in attesa che la nuova cultura d’impresa e del lavoro comprenda che i nuovi ingredienti del lavoro sono l’autonomia e la libertà insieme alla responsabilità, alla fiducia e al rispetto”.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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