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I rebus del lavoro all’italiana

Gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti hanno cercato di rispondere a domande che sembrano enigmatiche. Come questa: perché l'occupazione cresce nonostante l'economia sia quasi in stagnazione?

Quello che si trova solitamente in Italia è un buon lavoro? Che qualità ha? Se lo sono chiesto su Repubblica gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti ritrovandosi, a ben vedere, a risolvere una serie di rebus. “Le buone notizie che vengono dal mercato del lavoro nel terzo trimestre del 2023 (l’occupazione è aumentata del 2% rispetto allo stesso periodo del 2022) vengono accolte con un misto di stizza e scetticismo. Ma come, non doveva essere l’anno del precariato? Non ci sarà qualche trucco? E perché l’occupazione cresce nonostante l’economia sia quasi in stagnazione?”

“I dati disponibili sui flussi (Osservatorio sul Precariato Inps e Nota del Ministero del Lavoro a partire dalle Comunicazioni Obbligatorie delle imprese) segnalano che c’è stato un rilevante aumento delle assunzioni e che i mancati andamenti verso le pensioni sono molto più bassi della crescita occupazionale – segnalano in primis Boeri e Perotti – C’è chi invece sostiene che i dati del Pil sono sbagliati perché l’occupazione non può crescere del 2% se il Pil è quasi piatto. In realtà, gli andamenti dell’occupazione seguono sempre con un certo ritardo quelli dell’economia”.

E quindi? “L’aspetto davvero sorprendente nei dati sull’occupazione dell’ultimo anno – ragionano i due economisti – è la crescita dei contratti a tempo indeterminato e del lavoro alle dipendenze. Normalmente, in fasi di ripresa, le imprese assumono soprattutto con contratti a tempo determinato oppure con contratti di lavoro parasubordinato, il che le mette al riparo da costi elevati in caso di possibili riduzioni future degli organici. Ma, nel 2023, è diminuita la quota di contratti a tempo determinato, tornando sotto al 16%, nonostante Pil e occupazione complessiva fossero in crescita. E l’aumento dei posti di lavoro è stato interamente al di fuori del lavoro autonomo”.

Una spiegazione verosimile, secondo Boeri e Perotti, è legata alla demografia: “Le coorti in ingresso nel mercato del lavoro si assottigliano anno dopo anno. Le imprese che vogliono assumere devono quindi concentrarsi maggiormente su lavoratori con più di 35 anni e questi sono assai meno disposti a farsi assumere con contratti a tempo determinato. Rimane da capire perché non ci sia un forte aumento della percentuale dei giovani che lavorano (il tasso di occupazione aumenta di meno dell’1% e addirittura si riduce nel terzo trimestre 2023 per gli under 35) ora che molte imprese sono disperatamente alla ricerca di lavoratori. C’è sicuramente una differenza molto forte tra i profili professionali richiesti dalle imprese e quelli offerti dal nostro sistema educativo. Il cosiddetto mismatch fra domanda e offerta di lavoro (misurato guardando alle competenze richieste dai lavori maggiormente in espansione e quelle offerte dal sistema formativo) è più alto in Italia che in qualsiasi altro paese dell’Ocse“.

Ma forse, avvertono in conclusione gli economisti, c’è di più: “Non pochi giovani considerano penalizzanti molti dei profili richiesti nella logistica (per esempio gli autisti) e nelle costruzioni, e ambiscono a carriere lavorative diverse. Per saperne di più bisognerebbe fare approfondimenti sui giovani inattivi che sono fuori dal sistema scolastico, guardando non solo alle loro competenze, ma anche alle caratteristiche delle famiglie cui appartengono, ai loro redditi e alla loro ricchezza. Ma l’Istat, che potrebbe fare questi approfondimenti molto utili, è ancora in attesa di avere un presidente. Come il nostro mercato del lavoro, lascia posti altamente produttivi vacanti nonostante, almeno sulla carta, ci siano tante persone che potrebbero occuparli”.

(La soluzione del rebus in alto è “Nuova era dei metalli”)

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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