
Assieme a quello delle “grandi dimissioni”, un altro fenomeno che sta occupando molto i sociologhi del lavoro in questo periodo storico è il cosiddetto “quiet quitting”. Di cosa si tratta? Presto detto: “quiet quitting” vuol dire letteralmente “abbandono silenzioso”. E in pratica consiste nella tendenza di lavorare lo stretto indispensabile, rifiutandosi categoricamente, ad esempio, di trattenersi in ufficio oltre l’orario di lavoro. Secondo uno studio condotto da HR trend & salary survey nel 2022, i lavoratori più interessati dal quiet quitting sono quelli che hanno tra i 18 e i 34 anni. Nello specifico, prendendo in esame tutte le fasce d’età, si prende il lavoro con la dovuta distanza in questi termini percentuali: 36% tra chi ha tra i 18 e i 24 anni; 36% tra chi ha tra 25 e 34 anni; 32% tra i 35-44enni; 28% tra i 45-54enni; 24% tra i 55-67enni. Curiosamente, quindi, a fronte di una media complessiva di quiet quitting del 31%, con l’avanzare dell’età anagrafica la voglia di distaccarsi dal posto di lavoro diminuisce. Come mai? Secondo i ricercatori di HR, perché i più giovani vogliono sempre più che sia il lavoro ad adattarsi alla loro vita privata e non il contrario. Nella fascia d’età tra i 18 e i 24 anni, ben 6 lavoratori su 10 dichiarano di essere pronti a lasciare il loro impiego se quest’ultimo impedisce loro di godersi la vita. Soprattutto dopo la pandemia, si è di fronte, quindi, a un approccio con il mondo del lavoro che sta cambiando profondamente. Molti giovani, anche in cerca di prima occupazione, sono molto attenti a far valere i propri diritti prima di tuffarsi anima e corpo e senza risparmiarsi in un’avventura lavorativa che potrebbe segnare la loro vita.
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