Il sociologo Daniele Marini e la ricercatrice dell’Università di Padova Irene Lovato Menin sono convinti che accanto alle “transizioni gemelle” – quella ecologica e digitale – si affianchi anche una di carattere culturale che riguarda il mondo del lavoro. Si tratta di una transizione non meno radicale rispetto alle altre e che, riprendendo Italo Calvino nel suo libro postumo “Lezioni americane” (apparso nel 1988 e significativamente sottotitolato “Sei proposte per il prossimo millennio”), si può definire quella del “lavoro leggero”.
In un articolo apparso oggi sul Sole 24 Ore, i due studiosi hanno osservato: “Oggi ci troviamo di fronte a un panorama valoriale, lavorativo e organizzativo diverso da prima, sottoposto a velocità sempre più elevate, a incertezze crescenti, dove la vera nuova normalità è il cambiamento continuo. Ne hanno contezza, in particolare, le imprese che in questi periodi stanno cercando personale giovane e faticano a trovarlo: da un lato, per il calo demografico; dall’altro, penando nel trattenerli, poiché i giovani si muovono fluidamente sul mercato alla ricerca di opportunità che rispondano meglio alle proprie aspettative”.
Per questo, sempre secondo Marini e Lovato Menin, “guardando alla dimensione del lavoro e alle sue prospettive future, più che dello smart working, siamo al cospetto dell’avvento del light working: una leggerezza assegnata al lavoro. Ben inteso – precisano gli studiosi – il lavoro continua a essere una fatica, benchè sempre più alleviato dalle strumentalizzazioni tecnologiche che attenuano lo sforzo fisiche di diverse mansioni. Ma diventa leggero soprattutto per il peso e il valore simbolico che va occupando nell’orizzonte delle persone, soprattutto delle giovani generazioni”.
Per avvalorare la loro tesi, Marini e Lovato Menin citano l’ultima rilevazione del Monitor sul Lavoro (Community Research & Analysis per Federmeccanica) sulla popolazione italiana che, secondo loro, “testimonia plasticamente questa trasformazione”.
“Considerando l’orizzonte dei valori di riferimento che ispirano la vita degli individui – si legge nell’articolo pubblicato dal Sole 24 Ore – scaturisce una gerarchia che vede primeggiare quattro dimensioni: la famiglia (89,5%), la cura della propria salute ( 86,5%), il farsi una cultura (82,7%) e il tempo libero (80,9%). Molto più staccato c’è l’aspetto del lavoro (69,4%)”.
La conclusione cui giungono Marini e Lovato Menin, quindi, è che, ormai, “il lavoro ha una centralità marginale nell’orizzonte simbolico della gioventù odierna. In questo senso diventa light: leggero nel suo peso specifico quale cardine di vita per le persone”.
Come dire: il lavoro rimane certamente importante ma, complice la pandemia che ha fatto da acceleratore a questa trasformazione, la consapevolezza che lo caratterizza è cambiata. Niente di nuovo, del resto, proprio per Calvino che nelle sue “Lezioni americane” raccomandava: “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.