
In vista dell’approvazione della legge di Bilancio e a proposito del dibattito che alcune misure allegate ad essa stanno già alimentando (vedi qui), Giuseppe De Rita, il sociologo oggi 91enne co-fondatore del Censis, ha avuto modo di sottolineare sulle pagine del Corriere della Sera come si parli troppo poco della parte dell’Italia che tiene su la baracca.
Secondo lo studioso, tra i tremori per il crescente aumentare del debito e le paure che i mercati internazionali giochino a svendere i titoli sovrani, non si discute abbastanza di quelle che sono, invece, le componenti vitali del nostro sistema. Eppure, a fronte di numeri che mettono costantemente in guardia, l’opinione pubblica è stata storicamente rassicurata dalla sensazione che, in concreto, le cose non andassero poi così male.
De Rita lo sottolinea ricordando un episodio che lo vide protagonista a metà degli anni Settanta: “I conti erano a livello pessimo, tanto che il Governatore di Bankitalia dovette chiedere al governo di non far attraccare petroliere nei porti italiani perché, letteralmente, ‘non c’erano i soldi per pagare quel petrolio’. Eppure – ha scritto De Rita sul Corriere – quella drammatica sensazione era contemporanea a una diffusa coscienza che l’economia reale non solo galleggiava, ma dimostrava una inaspettata potenza delle economie locali, specialmente di quelle dove reagiva l’economia sommersa. E non mi vergogno di aver dichiarato, all’epoca, che l’avanzo commerciale dei distretti di Prato e Sassuolo era più alto del disavanzo di tutti gli altri settori manufatturieri. Qualcuno si regalò qualche battuta sul folclorismo di tale valutazione, penso alla sorridente frase con cui l’avvocato Agnelli e il professor Modigliani salutavano il mio arrivo a Cernobbio: ‘Ecco l’amico degli stracciaroli pratesi’. Ma, alla fine, fu chiaro che l’economia reale era più forte, e di tanto, rispetto all’economia gestita dai conti pubblici. E via via si affermò una coscienza sommersa della nota vitalità reale”.
Sta di fatto che oggi, De Rita si chiede “chi può diffondere altrettanto ottimismo sul destino dell’economia reale, visto che non c’è nessuno che si occupi di capire se e come regga la realtà quotidiana delle imprese e dei tanti localismi cresciuti nel frattempo. Il dibattito – lamenta il professore emerito – è praticamente inesistente, e la maggior parte di coloro che avevano cantato la sommersa vitalità degli anni fra il 70 e il 2000 si dedicano ad altro, magari a temi più farlocchi ma alla moda. La realtà quotidiana delle aree forti finisce per essere frequentata ‘strusciando i piedi’, cioè lentamente e con poca convinzione, quasi lasciando intendere che anche la loro dinamica economica stia strusciando i piedi”.
“Eppure – è la conclusione di De Rita – per chi ancora gira l’Italia, la realtà dà segnali contrastanti, ma non inerti: il motore milanese e lombardo batte bene i colpi; l’economia del Nord-Est sta superando la crisi di dipendenza dal declino della locomotiva tedesca; l’Emilia-Romagna e una parte delle Marche sono piene di soggetti di eccellenza; il turismo toscano, umbro, laziale (romano), pugliese e siciliano ha dimostrato una grande potenza di fuoco. Sarebbe quanto mai utile riservare un po’ di attenzione a queste componenti vitali del sistema. Per la tenuta della psicologia collettiva del Paese di fronte a un inverno che si preannuncia difficile, sarebbe più importante di tante elucubrazioni di finanza pubblica”.