Con l’estate che sta volgendo al termine, si può già fare un calcolo su quanta ricchezza e quanto lavoro ha portato il turismo in Italia? Secondo i dati Istat, dal 2015 ad oggi, i prezzi del settore dei servizi di alloggio e ristorazione sono aumentati del 21,9%, mentre le retribuzioni del 5%. Senza considerare che il 70% dei lavoratori del settore hanno contratti stagionali e precari. Facendo un confronto rispetto al 2012, poi, i prezzi sono aumentati del 60%, mentre le retribuzioni sono rimaste pressoché ferme.
Che ci dicono questi numeri? Che nel tempo il turismo ha prodotto ricchezza, ma non per chi ci lavora. Il motivo degli stipendi bassi in questo settore è il forte potere contrattuale di chi vi opera, che è legato alla scarsa concorrenza.
E poca concorrenza significa anche prezzi più alti per i consumatori, che si trovano ad accettare di pagare prezzi alti per la scarsa presenza di alternative.
In questo contesto si inserisce il dibattito sul rinnovo delle concessioni balneari, in scadenza il 31 dicembre 2024 a un anno dalla procedura d’infrazione avviata dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia per il mancato adempimento alla direttiva Bolkestein sulla concorrenza. Questa direttiva, in vigore dal 2006, impone agli Stati membri di mettere a gara beni pubblici da dare in concessione, laddove per quel bene sussista una “scarsità”, concetto che – secondo chi si oppone alla direttiva – non si può applicare alle coste italiane.
La scarsa concorrenza rende questo settore poco produttivo. Infatti, c’è chi sostiene, come l’economista Riccardo Trezzi, che il turismo sia ben lontano dall’essere l’oro dell’Italia. Al contrario: è uno dei settori meno produttivi di tutto il sistema economico. In particolare, secondo le ultime elaborazioni Istat disponibile relative al “Conto satellite del turismo” del 2019, solo il 5,6% del Pil è generato dal turismo, solo il 6% dei lavoratori italiani è impiegato nel turismo e per ogni aumento del 10% della spesa di turisti stranieri, la crescita economica a livello locale nei dieci anni successivi è dello 0,3% circa.
Nel settore turistico aumentano i prezzi ma non i salari di chi ci lavora
Stando all'Istat, rispetto al 2012, le tariffe sono aumentate del 60% mentre le retribuzioni sono rimaste pressoché ferme