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“Fine lavoro mai”: ecco come la legge di Bilancio allontana i Millennials da una pensione decente

Orizzonte 71 anni: solo i più ricchi potranno aspirare a uscire a 64 perchè servono 2 decenni di stipendi a 2400 euro al mese. Si salva chi può

L’Italia non è un Paese per giovani. E, stando a quanto deciso finora in manovra finanziaria, nemmeno quando questi giovani diventeranno vecchi lo sarà. Infatti, nonostante le promesse, la bozza della legge di Bilancio varata dal Consiglio dei Ministri e che tra domani e venerdì comincerà a essere discussa in Senato, prevede per i cosiddetti Millennials una autentica batosta.

Coloro i quali hanno cominciato a lavorare dopo il 1996 (l’anno spartiacque della riforma Dini sulle pensioni, avendole sancite solo con il metodo contributivo anziché retributivo), per andare in pensione a 64 anni, dovranno poter avere almeno 1700 euro di assegno. E, quindi, aver incassato, per vent’anni, uno stipendio da 2300-2400 euro: una roba certamente non da tutti.

Lo scenario molto più verosimile, infatti, è il seguente: i Millennials dovranno lavorare fino a 67 o 71 anni, sempre imprese permettendo e con età non fisse che crescono e si allungano con la speranza di vita.

Come dire: all’orizzonte si delinea un “fine lavoro mai”. E, per di più, con assegni più bassi.

Il governo Meloni ha scelto di mandare in pensione i Millennials a 67 anni con una pensione di almeno 503 euro. Un traguardo – è vero – più alla portata anche di quanti hanno avuto una carriera lavorativa precaria, intermittente, con molti buchi e sottopagata. Ma che sembra ignorare tutto il contesto sia previdenziale che lavorativo di giovani e ex giovani nati negli anni 70 e 80 e incappati in un’era di flessibilità prolungata e senza rete. Questi ragazzi ed ex ragazzi non avranno, come i loro genitori, l’integrazione al minimo: istituto che la legge Fornero non contempla per i contributivi puri. E quindi, passeranno da essere lavoratori poveri a pensionari poveri, forse assistiti.

Ma non è ancora tutto: avendo elevato il coefficiente di calcolo dell’assegno da 2,8 (fissato dalla Fornero nel 2011 e già di per sé considerato alto) a 3,3, se non si ha una pensione da circa 1700 euro, come accennato, non si può approfittare dell’unico canale positivo su cui i contributivi potevano contare: l’uscita anticipata a 64 anni con 20 di contributi.

Ai Millennials, dunque, con questa legge di Bilancio, rimane ben poco: solo la possibilità di riscattare 5 anni non coperti con contribuzione in 120 rate senza interesse, ma a costo pieno, non agevolato come la laurea (in alternativa, sebbene caso raro, il riscatto lo può fare il datore di lavoro) e il fatto che, se hanno pochi contributi, escono a 71 anni, quando ne bastano 5 di versamenti. Altrimenti c’è la pensione anticipata classica: oggi, servono 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne). Ma, anche su questo fronte, le notizie non sono certo positive: il governo Meloni è già tornato a far correre il calcolo della speranza di vita: dal 2025, serviranno 42-43 anni.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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