Certe strategie sono percepite dai dipendenti come un segno di salute.
L’impresa che innova dà sicurezza ai lavoratori.
L’assunto può sembrare scontato, ma non lo è affatto. Ne parlano quattro studiosi in un saggio pubblicato da lavoce.info.
Mauro Caselli, Andrea Fracasso, Arianna Marcolin e Sergio Scicchitano, questi i loro nomi, focalizzano in una ricerca il rapporto tra investimenti in innovazione e benefici su produttività e relazioni aziendali. Gli autori sono convinti che «l’adozione di innovazioni tecnologiche da parte delle imprese riduce l’insicurezza sul lavoro percepita dai lavoratori, perché è colta come un segnale di salute dell’azienda». E aggiungono: «Nell’effetto rassicurante, la formazione professionale ha un ruolo cruciale».
È utile seguire il filo del loro ragionamento. Innanzitutto occorre dire che le tecnologie per l’automazione sono considerate in genere cambiamenti molto insidiosi, in quanto influiscono in maniera massiccia sulle dinamiche occupazionali, causando la tendenza a espellere lavoratori dal ciclo produttivo. Certo, il progresso tecnico non è “neutrale” perché influisce sul superamento e l’abbandono delle competenze a minor valore aggiunto. Per altri versi tuttavia occorre prendere atto che «se alcuni lavori sono a rischio di automazione, molti altri se ne creano». È proprio della tecnologia la reazione di nuovi posti di lavoro anche al di fuori del ciclo industriale propriamente detto, in quanto ogni prodotto nuovo provoca l’apertura di nuovi spazi di mercato, anzitutto nell’area dei servizi: si pensi ad esempio ai servizi per la telefonia.
Ma in fabbrica bisogna tener conto della realtà percepita, oltre che di quella fattuale. E in quel contesto l’idea che lo sbocco naturale dell’intensificazione del contenuto tecnologico sia la sostituzione del lavoratore con apparecchiature meccaniche e digitali resta radicato nell’animo di tanti lavoratori.
È necessario riflettere sul fatto che “la paura di perdere il lavoro” rappresenta la preoccupazione maggiore, perché a questa evenienza drammatica non può che fare seguito un netto arretramento delle condizioni di vita. E quando i lavoratori hanno timore di perdere il proprio lavoro, la conseguenza immediata è un mutamento in peggio della loro identificazione con l’impresa, fondamentale dal punto di vista motivazionale.
Che cosa si può fare per assicurare un equilibrato rapporto tra interessi aziendali e aspettative dei collaboratori? Occorre puntare su due leve, entrambe indispensabili. Primo: puntare sul dialogo come risorsa unitiva dello spirito aziendale. Secondo: investire sulla formazione professionale. È dimostrato infatti che quando i lavoratori sono pienamente coinvolti dai cambiamenti tecnologici, così da sentirsi come alla guida dei processi di trasformazione, cambia anche la percezione delle problematiche connesse alla complessità introdotta dalle innovazioni. Molto utili sono i progetti di training personalizzato, volti a contenere la mancanza o il ritardo di competenza che la tecnologia può generare nei lavoratori più maturi. Occorre che le maestranze siano messe in condizione di concepire l’investimento in tecnologia anzitutto come un “segnale di salute” dell’azienda, vale a dire un indice di resilienza che essa riesce a esprimere al cospetto delle sfide competitive.
Elementi che concorrono a creare le condizioni affinché sia meno probabile il ricorso a forme di licenziamento individuale o collettivo.
Vista sotto un profilo positivo e propositivo, l’innovazione perde il carattere di soluzione volta esclusivamente a tagliare i costi e diviene una opportunità da condividere. Le imprese impegnate nell’innovazione – è questo un suggerimento che facciamo nostro – dovrebbero perciò impegnarsi a promuovere l’adozione di modelli organizzativi, strumenti di formazione, forme di incentivazione e canali comunicativi adeguati a minimizzare insicurezza, malessere e disimpegno dei lavoratori.