Nel 2024, il Sud aggancia la ripresa del Nord grazie all’effetto degli investimenti del Pnrr. Ma, già dal 2025, questo vantaggio si annullerà di nuovo e si riaprirà il divario. Sono le previsioni della Svimez presentate a Roma dal direttore Luca Bianchi. Pesano, in estrema sintesi, il lavoro povero e la fuga dei giovani.
L’Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno arriva a questi risultati analizzando l’allineamento del Pil nel biennio 2021-2022, che è merito solo delle politiche espansive di bilancio: l’esempio eclatante è dato dal peso delle costruzioni che si è spinto 7 punti oltre la media del Centro-Nord (18,9 contro 11,9), grazie al Superbonus 110%. In mancanza di queste misure, però, come già detto, il divario si riapre. Anche perché il contributo dell’industria è ancora debole: 10 punti contro i 24,5 del Centro-Nord. Quasi -30% di valore aggiunto contro una flessione del 5,2% nelle regioni centro-settentrionali.
Ma non basta: a giocare un ruolo chiave è anche l’inflazione. La differenza, naturalmente, la fa il contesto e in uno debole come quello meridionale ha pesato ancora di più. Per quanto riguarda l’occupazione, poi, sembra un paradosso, ma pur crescendo è aumentata la povertà a causa delle condizioni precarie. Rispetto al pre-pandemia, la ripresa dell’occupazione si è mostrata più accentuata nelle regioni meridionali: +188 mila nel Mezzogiorno (+3,1%), +219 mila nel Centro-Nord (+1,3%).
Al Sud più che altrove pesa la precarietà. Per Svimez, si tratta di una vulnerabilità da “livelli patologici”. Quasi quattro lavoratori su dieci (22,9%) nel Mezzogiorno hanno un’occupazione a termine, contro il 14% nel Centro-Nord. Il 23% dei lavoratori a temine al Sud lo è da almeno cinque anni (l’8,4% nel Centro-Nord). Tra il 2020 e il 2022 è calata la quota involontaria sul totale dei contratti part time in tutto il Paese, ma il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord resta ancora molto pronunciato: il 75,1% dei rapporti di lavoro part time al Sud sono involontari contro il 49,4% del resto del Paese. Questi dati fanno del Mezzogiorno la patria del lavoro povero: nel Sud, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022 (dal 7,6 al 9,3%). Un incremento si osserva tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali. Questi incrementi sono addirittura superiori a quello osservato per il totale delle famiglie in condizioni di povertà assoluta.
In questo quadro e in assenza di altre misure espansive e di protezione, decisivi, nel biennio 2024-2025, saranno gli investimenti previsti dal Pnrr. La Svimez ha stimato in 2,2 punti percentuali l’impatto cumulato sul Pil nazionale nel biennio nell’ipotesi di completo e tempestivo utilizzo delle risorse disponibili: +2,5 nel Mezzogiorno e +2% nel Centro-Nord. Il Pnrr eviterà la recessione al Sud in entrambi gli anni di previsione: -0,6% e -0,7% il Pil del Mezzogiorno nel 2024 e nel 2025 senza Pnrr.
Ovviamente, però, le risorse europee dovrebbero essere spese bene. Il valore complessivo dei progetti presenti in Regis (il sistema unico di rendicontazione del Pnrr) ammonta a 32 miliardi di euro, per il 45% allocati ai Comuni del Mezzogiorno. Per circa la metà dei progetti risultano avviate le procedure di affidamento. Ma, finora, la quota di progetti messi a bando, si ferma al 31% al Mezzogiorno rispetto al 60% del Centro-Nord. Segno che si deve fare i conti con un’altra debolezza meridionale: quello della macchina amministrativa degli enti locali.
Il che si aggancia a un’altra emergenza: il Mezzogiorno continua a perdere popolazione, soprattutto giovani qualificati. Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Sud oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%). Al netto dei rientri, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti. Le migrazioni verso il Centro-Nord hanno interessato soprattutto i più giovani: tra il 2002 e il 2021, il Mezzogiorno ha subìto un deflusso netto di 808 mila under 35, di cui 263 mila laureati.
Ma cosa servirebbe per invertire il declino demografico? Sicuramente potenziare il lavoro femminile. In Europa, le regioni meridionali presentano il tasso più basso di occupazione femminile (media Ue 72,5): Campania (31%), Puglia (32%) e Sicilia (31%). Significa che sette donne su 10 non hanno occupazione. Anche in questo caso il Pnrr sarebbe fondamentale.