La Cgia di Mestre, analizzando dati Inps e Istat, ha sottolineato il fatto che entro pochi anni il numero delle pensioni erogate supererà quello degli stipendi pagati. Da qui al 2028, sono infatti destinate a uscire dal mercato del lavoro circa 2,9 milioni di persone, che con ogni probabilità non saranno sostituite.
Considerando come di questi 2,9 milioni di lavoratori più di 2 risiedano nelle regioni centro-settentrionali, è evidente che andrà a consolidarsi anche a nord un trend che già oggi nel Mezzogiorno vede i pensionati sopravanzare gli occupati. Con gli intuibili effetti che questo avrà sulla tenuta dei conti pubblici.
Ormai, sono anni che lo spettro del defaut pensionistico aleggia sull’Italia, non certo per mero esercizio di pessimismo. Conti alla mano, non potremo reggere a lungo senza interventi strutturali che garantiscano il sistema sanitario e il welfare state per come li abbiamo conosciuti finora.
L’attenzione per questo va sulla crescita (perché per distribuire ricchezza bisogna prima averla prodotta), sulla questione demografica e sulle migrazioni. Ed è davvero rischioso che un Paese che ha da tempo una prospettiva statistica chiara in cui si evidenzia una prossima voragine contributiva che coinciderà con una forte contrazione demografica, non abbia pensato a efficaci contromisure. Nemmeno la più ovvia e veloce: quella derivante dall’immigrazione, con una regolarizzazione (visto che si parla tanto anche di cittadinanza) più rapida e rigorosa.