Complice il barbaro assassinio di Giulia Cecchettin, in questi giorni, il dibattito pubblico vede protagonista la condizione delle donne: una loro emancipazione non può non partire da una loro indipendenza economica. E, quindi, dal lavoro. Sta di fatto che oggi il Sole 24 Ore pubblica una classifica sul benessere femminile in cui si evince che le grandi città fanno male da questo punto di vista. E che la maglia nera spetta sempre al Sud.
In generale, il tasso di occupazione femminile è arrivato al 55,2 dal 52,9 del 2021, mentre la percentuale di giovani donne occupate è aumentato dal 25,2 al 29,4 nel giro di un triennio. Al dinamismo che traspare dai dati appena citati, che raccontano di donne sempre più “in gioco” nel mondo del lavoro fin dalla giovane età, si contrappone, però, una situazione decisamente più statica su altri fronti: la media nazionale delle donne amministratori di impresa, uno su quattro, è rimasta sostanzialmente la stessa della prima edizione della qualità della vita delle donne; lo stesso vale per il tasso di amministratori comunali donna che è addirittura sceso dal 34,5% del dato Istat 2021 al 33,8% del 2022.
Sta di fatto che dove il tasso di occupazione femminile supera la media nazionale di oltre 12 punti e il gap occupazionale di genere è poco sotto il 13% è Udine. È la città friuliana a conquistare la vetta della classifica generale 2023. Una classifica che evidenzia una spaccatura (già ben nota) tra territori del Nord e del Centro e il Sud. Il podio, però, è inedito: Udine lo condivide con Lecco, per la prima volta al secondo posto, e Prato.
A queste città, si contrappone, come accennato, una coda della classifica composta da province del Mezzogiorno con Napoli maglia nera (al 107° posto), preceduta da Vibo Valentia e Crotone. L’unica speranza per il Sud è che mostra un potenziale importante sia sul fronte degli studi sia delle competenze e dell’imprenditorialità femminile. Tuttavia, ad oggi, si tratta di un potenziale inespresso.
Ma dov’è che le donne lavorano di più? Il loro paradiso è Firenze, dove sono impiegate nel 74,2% dei casi: ben quasi 20 punti sopra la media nazionale. Nel capoluogo toscano, quasi di conseguenza, il gap tra occupati uomini e donne è ridotto al 6,8%, una percentuale circa tre volte più bassa della media italiana. Bisogna sottolineare, però, che è una provincia del Sud, quella di Benevento, a classificarsi prima per imprese femminili sul totale (29,6%). La provincia campana perde, invece, la leadership nelle donne laureate: viene scalzata da Isernia che, con 61 ogni mille, supera di oltre 20 punti la media nazionale di donne che hanno ottenuto il titolo di studio universitario.
Infine, uno sguardo alla sofferenza delle grandi città, compresa Milano. La capitale economica del Paese risulta al 38esimo posto nella classifica generale del benessere (in calo di nove posizioni rispetto al 2022), ma è addirittura ultima per tasso di imprese femminili.
Perchè le metropoli, allora, deludono le aspettative? “Le grandi città offrono più occasioni per i giovani, ma rendono più difficile la vita familiare – spiega Paola Profeta, prorettrice per la Diversità, Inclusione e Sostenibilità all’Università Bocconi e Professoressa Ordinaria di Scienza e direttrice dell’AXA Research Lab on Gender Equality – Sono più care, hanno meno servizi e difficoltà di trasporti. Investire sulle famiglie e sui servizi alle famiglie, asili nido per esempio, supporta le carriere femminili”.
Una donna su dieci si vede negare dal partner la possibilità di lavorare