
Bei tempi quando si chiedeva ai bambini cosa volessero fare da grandi e quest’ultimi rispondevano, tutti sicuri di sé, raccontando l’avvenire che sognavano. Bei tempi perché oggi, a quella domanda, la metà non dei bambini ma dei giovani tra i 18 e i 29 anni, che pure dovrebbero avere idee più chiare quindi, rispondono con un sonoro boh!
È quanto si evince da una ricerca dell’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, dedicata ai servizi di orientamento e condotta su un campione di 1948 giovani. Solo il 51% serba in cuor suo una aspirazione professionale ben individuata e, di conseguenza, studia o già ha intrapreso la carriera ad essa dedicata. Il resto brancola nel buio.
E, secondo lo stesso studio dell’Inapp, fondamentalmente, non sa nemmeno a chi rivolgersi per intraprendere i primi passi nel mondo del lavoro. Un altro dato che viene fuori, infatti, è che un ragazzo su tre non bussa nemmeno alla porta dei servizi di orientamento che le università mettono loro a disposizione. Nello specifico, lo ha fatto solo il 63,4% degli intervistati mentre il 18,5% ha dichiarato, invece, di non averne avuto bisogno; il 6,1% di non averne saputo dell’esistenza; il 2,9% che ha preferito fare da solo; il 2,4% che non ha pensato che fosse una cosa utile; l’1,2% che non ci sono iniziative del genere sul suo territorio.
Eppure, in generale, i giovani vorrebbero tanto avere una struttura di tutoraggio che li affianchi per entrare nel mondo lavorativo, spiega la responsabile della ricerca Anna Grimaldi. La quale punta il dito sulla inadeguatezza dei servizi di avviamento che gli atenei mettono a disposizione perché, secondo lei, spesso si concentrano solo sull’offerta formativa senza favorire una vera occupabilità.
A tal proposito, quindi, il suggerimento che ne scaturisce è quello di sfruttare al meglio i fondi che mette a disposizione il Pnrr che, nella Missione 4, parla chiaramente di una riforma dell’orientamento. Questo, naturalmente, senza trascurare i fondi statali che dovrebbero servire ad accorciare la distanza tra scuola, università e mondo del lavoro: non sono pochi, ma spesso mal utilizzati.
In quanti fanno davvero il lavoro che hanno sognato da bambini?