
Quali sono le lauree più richieste sul mercato del lavoro? Detto che, secondo Unioncamere, l’ente pubblico che riunisce le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, nel 2022, la difficoltà di reperimento del personale ha riguardato il 40% delle assunzioni e tenderà ad aumentare ulteriormente anche per l’accelerazione della domanda attesa come effetto degli investimenti targati Pnrr, i tassi di occupazione più elevati vengono riscontrati nei gruppi ingegneria industriale e dell’informazione, informatica e tecnologie ICT, architettura e ingegneria civile, a cui si aggiungono il gruppo economico e medico-sanitario e farmaceutico. Per tutti questi gruppi, infatti, il tasso di occupazione a 5 anni dalla laurea, stando al Rapporto Almalaurea 2023, risulta superiore al 90%.
L’elevata domanda di personale con un titolo di laurea conseguito in questi gruppi disciplinari si riflette anche sulle retribuzioni medie dei profili più ricercati: se diamo uno sguardo alle retribuzioni, tra i laureati magistrali con le retribuzioni maggiori troviamo soprattutto i laureati in informatica e tecnologie ICT e quelli in ingegneria industriale e dell’informazione che, sempre a 5 anni dalla laurea, possono contare sulle più alte retribuzioni, con valori mensili netti più elevati che si attestano rispettivamente a 2.042 e 2.003 euro. Al contrario, risultano decisamente inferiori i livelli retributivi dei laureati del gruppo educazione e formazione (1.380 euro) e psicologico (1.406 euro).
Sta di fatto che, considerando l’alta domanda di lavoratori laureati, risulta chiaro come il basso numero di laureati tra i 25 e 34 anni sia un problema strutturale che andrebbe affrontato al più presto. Infatti, secondo gli ultimi dati Eurostat, con il 29,2% di laureati all’interno della popolazione tra i 25 e i 34 anni, l’Italia è il secondo paese in Europa con il valore più basso dietro alla Romania.
E, come se non bastasse, in questo quadro, poi, si inserisce l’anomalia del Sud: qui, i giovani laureati tra i 25 e i 34 anni lasciano la propria provincia di residenza sia per trasferirsi all’estero che verso il Nord Italia comportando perdite di risorse soprattutto per Sicilia, Sardegna, Puglia, Calabria e Basilicata. In queste regioni più che altrove si osserva che il fenomeno dà origine a un meccanismo capace di autoalimentarsi per cui la mancanza di opportunità legata alla scarsa crescita economica alimenta il fenomeno di fuga, il quale, a sua volta, sottrae risorse per una nuova crescita.
Il calo demografico del Sud Italia, in ogni caso, non riguarda solo i giovani laureati, ma tutta la popolazione in generale. Negli ultimi 20 anni, dati Istat, il calo è stato di 4 punti percentuali contro una crescita analoga nel resto d’Italia e una crescita pari a 5 punti nel resto dell’Unione Europea. E proprio il calo demografico è strettamente correlato alla mancata crescita economica, che a sua volta è correlata alla mancanza di investimenti che, nel caso delle infrastrutture al Sud, negli ultimi 50 anni, sono calati dell’83%. In questo complesso meccanismo di fenomeni che si intrecciano e che si autoalimentano, una cosa è chiara quindi: finché non darà opportunità ai suoi laureati, il Mezzogiorno non potrà riprendere a crescere.