C’è davvero da avere paura davanti all’avanzata dell’Intelligenza Artificiale? Questa mattina, tra le colonne di Repubblica, è l’ex sindacalista della Cisl e attuale coordinatore di Base Italia Marco Bentivogli a cercare di dare una risposta a questo quesito chiarendo da subito che non bisogna essere né spaventati né sorpresi davanti alle nuove tecnologie che impattano sul mondo del lavoro.
“Negli ultimi 5 anni, cito dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, il mercato dell’Ia è cresciuto del 262% – scrive Bentivogli – Gran parte delle ricerche Usa e degli studi stimano che 2/3 del lavoro cambierà per mezzo dell’Ia. Esaminiamo le ultime tre fasi dell’evoluzione tecnologica. La prima: la robotica avanzata, di per sé, cancella e genera lavori con un saldo positivo. I Paesi a più alta densità di robotica (robot ogni 100.000 lavoratori) sono i Paesi a più bassa disoccupazione. La seconda: il digitale di per sé cancella le mansioni routinarie ripetitive e valorizza quelle a maggiore ingaggio cognitivo. La grande trasformazione che nel lavoro erode soprattutto le mansioni ripetitive impiegatizie più che quelle operaie. La terza: l’avvento dell’Intelligenza Artificiale scompagina di nuovo lo scenario. L’Ia generativa e forse ancora di più la prossima Ia generale, ha la capacità di produrre contenuti (testi, immagini, sintesi, contratti, atti, video) e questo fa sconfinare l’impiego delle tecnologie in un’area che pensavamo inattaccabile: quella del lavoro creativo”.
Secondo il ragionamento di Bentivogli, quindi, “il tema è molto più serio del quanti posti di lavoro perderemo: si tratta di utilizzare un metodo per capire le tendenze. Quello che propongo riguarda la necessità di ripartire dalle 800 professioni che l’Istat categorizza e censisce in Italia. L’Ia avrà tre diversi livelli di impatto: genererà nuove professioni; cancellerà alcune professioni; integrerà, potenzierà e supporterà professioni esistenti. Ogni professione viene esercitata con diversa possibilità di ruolo e bisogna ritornare a scomporre il lavoro e le professioni in attività”.
Sta di fatto che, per Bentivogli, “accanto ai tre effetti diretti, vi saranno quelli indiretti perché Ia modificherà l’ambiente e l’organizzazione del lavoro e il rapporto, l’ibridazione della persona con le macchine. Oltre questo passaggio è necessario comprendere quali attività non sono core human e che le macchine possono fare meglio di noi. Si tratta non solo di delegare alcuni compiti alle macchine ma di ridisegnare e creare le attività su cui le persone possano fare bene e meglio attività più a loro consone. Questo approccio dovrà essere iterativo perché cambieranno con straordinaria velocità le tecnologie e il loro impatto sulle professioni”.
Il co-fondatore di Base Italia, a tal proposito, fa quest’esempio: “L’utilizzo degli assistenti personali Ia sposterà il nostro tempo di lavoro su un maggiore valore aggiunto, migliorando la qualità del lavoro? Sebbene ogni innovazione comporti dei rischi, è fondamentale affrontarli con strategie mirate per massimizzare i benefici: è aperta una riflessione sul come dare norme, assegnare responsabilità, assicurare sicurezza all’impiego di Ia. Consapevoli della difficoltà di normare qualcosa di cui non conosciamo a fondo i meccanismi. Nella fase di elaborazione, cosa avviene nella scatola nera degli algoritmi non è nota neanche agli stessi programmatori. Qualcuno dice che l’innovazione sconta sempre un po’ questo e che anche la macchina a vapore fu inventata per tentativi senza conoscere, fino in fondo, le leggi della termo dinamica. Quello che è certo è che il lavoro, il suo senso, la sua contrattualistica, la sua natura, sta cambiando profondamente”.
Altra certezza che Bentivogli mette sul tavolo è poi “la polarizzazione di un mercato del lavoro italiano già fortemente polarizzato tra chi avrà la possibilità di essere coinvolto dentro questa trasformazione e chi ne resterà marginalizzato. Più che agitare un futuro di lavoro povero generalizzato bisogna costruire le condizioni perché il processo di innovazione sia un processo di diffusa e vasta partecipazione. Anche perché la stessa polarizzazione avverrà tra imprese, coinvolte e protagoniste o marginalizzate e in questo la taglia dimensionale troppo piccola delle nostre è un vero guaio”.
“Per questo – conclude Bentivogli – avere una rete diffusa di trasferimento tecnologico e di competenze è molto più importante e credibile che avere una open Ia italiana. Puntiamo ad avere un tessuto produttivo pronto e rapido ad accogliere, adattare e ripensare le innovazioni abbassando la soglia del loro accesso indipendentemente dalla loro taglia dimensionale”.
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