
Fino a che punto l’Intelligenza artificiale andrà ad impattare sul nostro lavoro? Si sa che avrà conseguenza sui due terzi dei mestieri ma, nello specifico, quanto potrà aiutarci? Una sorta di classifica l’ha redatta Will sulla base di una ricerca dell’Hiring Lab Economic Research di Indeed.
Ebbene, il settore in cui questa integrazione virtuosa sarà più visibile è quello informatico, dove l’AI è già in grado di supportare con tool e sistemi integrati più del 95% delle attività svolte da programmatori e sviluppatori.
Al secondo posto ci sono consulenza legale e contabile, mentre all’ultimo posto ci sono lavori manuali, come la guida di auto, camion o mezzi pesanti, e il settore della bellezza e della cura del corpo.
Ma bisogna aver paura dell’Intelligenza artificiale? La riposta è no. Sarebbe, nel lungo tempo, un atteggiamento perdente davanti all’avanzare inesorabile della tecnologia. Tanto più che, adottando una prospettiva storica, le passate rivoluzioni tecnologiche, dopo un periodo di assestamento, hanno sempre portato a un miglioramento del benessere economico aggregato.
Se guardiamo all’Italia, infatti, prima della rivoluzione industriale, il 65% della popolazione era impiegato in agricoltura. Oggi lo è solo il 3%. Ma tutte le persone non hanno certo smesso di lavorare: sono state riassorbite nei settori industriali. Infatti, se nel 1871 solo il 22,1% della popolazione era impiegato in quel settore, nel corso di un secolo, la percentuale è quasi raddoppiata toccando il 43,6% nel 1971.
A sua volta, con la terza rivoluzione industriale e la digitalizzazione, la percentuale di persone che lavoravano nei settori industriali è già scesa al 33,5% per spostarsi verso i settori digitalizzati.
Un’opportunità, quindi: l’introduzione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro semplifica lo svolgimento delle attività quotidiane e ne aumenta l’efficienza, garantendo un approccio più strategico e creativo. Meglio prenderla come un valido strumento per la gestione delle risorse e lo sviluppo professionale.