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Il lavoro degli immigrati vale l’8,8% del Pil italiano

I dati della Fondazione Leone Moressa

Gli immigrati, per l’Italia rappresentano sempre più un fattore di ricchezza. La Fondazione Leone Moressa ha calcolato che valgno ben l’8,8% del Pil: lo si evince facendo la differenza fra le tasse e i contributi versati dagli stranieri e le prestazioni di welfare che sono state fornite dalla pubblica amministrazione. Il saldo è positivo di 1,2 miliardi.

Ma quanti sono i lavoratori stranieri in Italia? Essi ammontano a 2,4 milioni. Versano 4,5 miliardi di Irpef e danno un contributo al prodotto interno lordo quantificabile in 164 miliardi di euro.

Rappresentano il 10% degli occupati totali: una percentuale stabile negli ultimi anni e più bassa di altri Paesi Ue (in Germania è, ad esempio, al 14,7% ). In realtà il numero degli occupati nati all’estero attivi in Italia è di 3,4 milioni, ma l’acquisizione della cittadinanza italiana fa uscire progressivamente questi lavoratori dalle statistiche degli stranieri. Dal 2019 al 2023 hanno acquisito la cittadinanza italiana quasi 800mila immigrati. Il numero di occupati stranieri potrebbe dunque essere sottostimato.

Quello che la Fondazione Moressa definisce il “Pil dell’immigrazione” ha superato dunque il valore del 2019, ultimo anno prima della pandemia, che era di 148 miliardi. La maggior parte del valore aggiunto prodotto (in valore assoluto) si concentra nei servizi, il comparto con il maggior numero di lavoratori stranieri, così come accade per gli italiani. Se invece si considera l’incidenza del valore aggiunto prodotto dagli stranieri sul valore aggiunto totale, il valore più alto è in agricoltura e in edilizia.

L’occupazione straniera si concentra nei servizi alle persone, dove l’incidenza è del 30%, negli alberghi e ristoranti (17%), in agricoltura (18%) e nelle costruzioni (16%).

Solo l’8,7% degli stranieri svolge una professione qualificata o tecnica, mentre il 30% si colloca in professioni a bassa qualifica.

Il Rapporto della Fondazione Moressa fa notare che nonostante un divario ancora marcato fra il reddito medio dei lavoratori immigrati e quello degli italiani, il saldo fra entrate e uscite dello Stato legate all’immigrazione rimane positivo per 1,2 miliardi, con imposte e contributi versati che superano i costi legati ai servizi di welfare.

I contributi sociali versati dai datori di lavoro (famiglie e imprese) per i lavoratori stranieri ammontano a quasi 25 miliardi, l’Irpef versata dai lavoratori è di 4,5 miliardi e l’Iva vale 4 miliardi. Gli imprenditori nati all’estero sono 775.559 (il 10,4% del totale), sono cresciuti dell’1,9% su base annua e del 27,3% rispetto a dieci anni fa (nel 2023 rispetto al 2013). Le imprese a conduzione prevalentemente straniera sono 586.584 (l’11,5%).

E per il futuro? La dinamica demografica dell’Italia, con la popolazione in età lavorativa che si ridurrà del 21% fra il 2023 e il 2070, giustifica l’aumento del fabbisogno di manodopera straniera. Già oggi l’età media dei cittadini di origine straniera è di 35,7 anni, contro i 46,9 degli italiani.

A stimare il bisogno di lavoratori immigrati da parte delle imprese nel quinquennio 2024-2028 è Unioncamere, insieme con il ministero del Lavoro. Secondo gli ultimi dati, nel periodo considerato, ci sarà bisogno di 640mila persone di origine straniera rispetto a un fabbisogno complessivo di circa tre milioni di lavoratori. Si tratta quindi del 21% del totale, praticamente più di un lavoratore su cinque, a cominciare dal settore dell’agricoltura.

 

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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