Anche gli statali sono assediati dall’Intelligenza artificiale. Secondo uno studio del Forum della Pubblica amministrazione, ben 220 mila di loro rischierebbero il posto. I più esposti alle nuove tecnologie sono coloro i quali svolgono mansioni ripetitive.
Ma c’è anche un gran numero che dalle nuove soluzioni tecnologiche trarranno importanti benefici. Qualche esempio? I dirigenti scolastici, i magistrati, i leader di progetto, gli stessi prefetti: in tutto, ammontano a un milione e mezzo.
Oltre 150 mila, infine (154 mila, per la precisione) sono giudicati in una posizione di mezzo, ambigua tra potenziali sinergie con l’Intelligenza artificiale e rischi di esserne sostituiti. Qualche esempio? Diverse professioni del settore sanitario e diplomatico: biologi, chimici, fisici, ma anche gli avvocati.
E quindi: in generale, i dipendenti pubblici “fortemente esposti” all’intelligenza artificiale sono 1,85 milioni, cioè il 57% del totale, mentre su un altro 28% (poco meno di 906mila persone) l’impatto si annuncia “moderato” e sul restante 15% (483 mila) sarà verosimilmente “basso”.
Il ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo la mette così: “Non mi preoccupo della perdita di posti di lavoro perché ci sono mestieri che muoiono ma al tempo stesso ci sono nuovi mestieri che nascono dobbiamo vivere questa epoca di cambiamento non con la paura ma con l’obiettivo di rendere l’innovazione tecnologica compatibile con i nostri piani di sviluppo. Tanto più che il rapporto tra dipendenti pubblici e residenti vede l’Italia nelle posizioni di retroguardia rispetto agli altri Paesi europei, quindi non c’è un problema di quantità”.
Come dire: nessuna epurazione in vista. Anche perché il sindacato già mette le mani avanti: “Se l’idea è di uno scambio fra occupazione e tecnologie non siamo d’accordo – puntualizza Serena Sorrentino, segretaria generale della Fp-Cgil – Innovare e qualificare i servizi è necessario, ma quella dell’occupazione rimane comunque un’emergenza a cui bisogna rispondere con le assunzioni”.