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Questione salariale: chi l'ha vista?

“Scusate, esisterebbe la questione salariale in Italia. Non so se ve ne siete accorti”. Si intitola così un articolo di Michele Achilli apparso sul Riformista di martedì 20 dicembre. L’assunto del pezzo è il seguente: la mancanza di una forza politica che ponga come elemento prioritario il problema del lavoro, delle condizioni dei lavoratori sia sul piano della produttività che dei salari, è una delle cause delle crisi della sinistra. Proprio a partire dalle argomentazioni di Achilli, il direttore generale di Anap Raffaele Tovino è intervenuto oggi, 21 dicembre, su Edicola del Sud, il giornale distribuito in Puglia e in Basilicata. I Protagonisti.net lo ripropone qui di seguito nella versione integrale per gentile concessione del giornale diretto da Annamaria Ferretti. Si può essere d’accordo o meno sull’idea che in Italia occorre introdurre un salario minimo deciso per legge. E io non lo sono, perché ritengo che occorra preservare gli istituti della contrattazione collettiva come mezzo più efficace per salvaguardare i diritti di chi lavora. Ma non si può negare che in Italia la questione salariale sia ormai deflagrata. Vediamo perché. In Europa non c’è un Paese membro che abbia il libello di sviluppo industriale come quello italiano: veniamo dopo la Germania, ma siamo pur sempre la seconda potenza manifatturiera del continente. E questo lo si sa. Ma al contempo non c’è Paese che abbia salari più bassi. E su questo la consapevolezza è a lungo mancata. Per fortuna da qualche tempo il sistema dei media, anche sotto l’impatto dell’inflazione, ha scoperto invece che in Italia esiste una questione salariale e parimenti esiste la povertà. Ma si fatica a trarre da questi assunti le dovute conseguenze. Si parla dunque di inflazione, e si rimarca che incide sui prezzi delle materie da cui si ricava energia. Meno attenti siamo al fatto che essa – solo nell’anno in corso – ha provocato un calo dei salari in termini reali del 6%. Anche qui, un exploit non proprio positivo per il nostro Paese, perché si tratta del doppio rispetto alla media dell’Unione europea. In realtà i salari sono più bassi non dalla guerra in Ucraina e per i suoi effetti Sempre in termini reali, vale a dire valutando la quantità di beni che il lavoratore può acquistare con la sua paga, si osserva una riduzione del 12% rispetto al 2008, dato che ci colloca all’ultimo posto tra i Paesi Ocse, quelli più sviluppati. Ancora: siamo l’unico tra i membri della Ue che dal 1990 a oggi registri un dato decrescente. Esiste quindi una realtà, quelle italiana, in cui c’è poco lavoro, specie al Sud. Territorio dove attecchisce tanto il “lavoro povero”, fenomeno che si sta allargando con effetti sociali devastanti. In barba al dettato costituzionale secondo cui (art.36) “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera dignitosa”. Io credo che su questa deriva inammissibile abbia giocato un ruolo il fatto che le rappresentanze politiche che si richiamano alle forze sociali del capitale abbiano preso il sopravvento, da noi, a cominciare dalla fine degli anni Settanta. Parallelamente si è prodotto uno squilibrio a proposito della tutela del fattore lavoro, che tanto peso ebbe invece negli anni Settanta del secolo scorso. Una questione che ha sollevato con lucida efficacia Michele Achille sul Riformista del 20 dicembre, il quale attribuisce, ad esempio, la irrefrenabile crisi del Partito democratico alla sua perdita di radicamento nel mondo del lavoro. E non solo. Più in generale, nel panorama italiano, manca ad oggi una forza politica che ponga come prioritario il problema del lavoro e delle condizioni dei lavoratori. Negli ultimi trent’anni l’Italia è stata governata da coalizioni di destra e uliviste prima, e poi da coalizioni che hanno trovato nel Movimento 5S il baricentro. Possiamo con schiettezza affermare che ci sia stata una coalizione, fra le tante che si sono susseguite, che abbia prestato seria attenzione al mondo del lavoro, dei diritti del lavoro, delle loro condizioni di vita? Francamente proprio no. Continuiamo invece, con letture che se non ingannevoli sono simulatorie, a dare peso ai dati confortanti dell’export nazionale, sottacendo che spesso questi exploit sono dovuti, in parte non irrilevante, proprio ai bassi costi del lavoro italiano. Fattore che a sua volta penalizza i consumi ed è causa di debolezza strutturale della nostra economia.]]>

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Direttore Editoriale - Articoli pubblicati: 131

Libero Professionista, impegnato oltre che sul fronte dei servizi e prestazioni connesse al tema della prevenzione degli infortuni in ambienti di lavoro, ha maturato una notevole esperienza nell’ambito delle relazioni sindacali, ed oggi è tra i fondatori di diverse realtà sindacali di carattere Nazionale.

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