
Buone notizie dall’Osservatorio Inps: nei primi quattro mesi dell’anno, sono aumentati i contratti di lavoro e, nello specifico, anche a quelli a tempo indeterminato. In generale, il saldo positivo è di circa 610mila lavoratori in più: 2 milioni e 65mila nuovi contratti a fronte della cessazione di 2 milioni e 4 mila. Di questi, i rapporti a tempo indeterminato sono stati oltre 250mila, ben il 30,7% in più rispetto al dato dello stesso periodo del 2022. Non solo: le trasformazioni in contratto stabile, in 4 mesi, sono state 281mila, un altro dato che fa segnare un saldo nettamente positivo rispetto al 2022 (+11,3%).
Il tutto, mentre le cessazioni da contratto a tempo indeterminato sono scese poco sopra quota 563mila (-9,5%) dopo l’aumento registrato nel 2022 con la fine del blocco dei licenziamenti legato alla pandemia. Secondo gli analisti, questo dato dipende dalla volontà dei datori di lavoro di rendere l’impiego più attrattivo in un periodo di crescita e nel quale si conferma, per alcuni settori, la difficoltà nel reperire manodopera.
Sta di fatto che, ad oggi, il tasso di occupazione è al 61% mentre quello della disoccupazione è al 7,8%. E che, in totale, nel 2022, secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, solo una persona su 6 è stata assunta a tempo indeterminato. Nello specifico, il 73,9% a tempo determinato, il 14,7% a tempo indeterminato, il 4,9% sono stati gli autonomi, il 3,3% è stato assunto con contratto di apprendistato e il 3,2% con un contratto co.co.co.
Con questa situazione, il problema del precariato resta complesso e non passa solo dalla necessità di limitare gli abusi dei contratti a termine, ma anche da un cambiamento del modo di operare delle imprese che dovrebbe essere sempre meno emergenziale e, di conseguenza, bisognoso di una flessibilità lavorativa tale da tradursi in precariato per chi lavora.