Mercoledì 25 settembre, Gabriele Fava, il direttore dell’Inps, ha presentato il rapporto annuale dell’istituto in cui si evince quanto nel mondo del lavoro siano ancora molto penalizzate le donne. Basti pensare alla cosiddetta
child penalty, la penalità che scatta nei confronti delle donne quando nasce un figlio: quasi automaticamente, crolla lo stipendio, si va in part-time o si lascia del tutto il posto. Anche nei casi più solidi, con i contratti stabili, il differenziale con gli uomini non si recupera più. Come dire: in Italia, o si fa un figlio o si fa carriera, tant’è che se questa penalità fosse azzerata almeno per le nuove madri, ipotizzano i ricercatori di Inps, il tasso di occupazione femminile crescerebbe di 6,5 punti entro il 2040, colmando il 40% del divario con quello maschile. Se poi fosse azzerata per tutte le madri, il recupero salirebbe a 14 punti entro il 2030, chiudendo quasi tutto il gap.
Eppure, negli ultimi 40 anni, qualche passo in avanti è stato fatto. Sta di fatto che se prima della nascita del figlio, la probabilità di lasciare il lavoro è più o meno la stessa per uomini (9%) e donne (11%), nell’anno della nascita questo rischio sale per la madre (18%) e comincia a scendere per il padre (8%). A due anni dalla nascita continua a calare per il padre, ma per la madre è ancora alto (13-14%). Solo al terzo anno, le donne tornano alla situazione pre-bebè.
Ma le percentuali si alzano notevolmente per le lavoratrici con contratti a tempo. Senza contare il fatto che la child penalty si riverbera in modo ancora più netto sulle retribuzioni. L’arrivo di un figlio per la donna equivale a un terremoto. Se prima il suo reddito era appaiato a quello dell’uomo ed entrambi crescenti, nell’anno della nascita quello del padre aumenta del 6% (e dopo sette anni registra un +50%). Mentre quello di lei crolla del 76%, se non ha la copertura di congedi e ammortizzatori (ci metterà 5 anni per tornare al punto di partenza). Con i congedi, la caduta è del 16%, quasi un quinto. La madre recupera il livello pre-nascita solo 4 anni dopo. Ma a quel punto il gender gap è di quasi 30 punti con lo stipendio del padre. E tale si mantiene per i 7 anni successivi.
I divari si incancreniscono anche per la scelta in molti casi obbligata del part-time da parte delle donne. Lavorare poco, in modo intermittente e mal retribuito conduce poi a pensioni misere. L’assegno medio dei pensionati non a caso supera del 35% quello delle pensionate.