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Sud, nuovo allarme giovani: c’è il rischio desertificazione

Secondo l'Istat, il Mezzogiorno rimane una delle aree più arretrate d'Europa. E l'ultima chiamata potrebbe essere quella del Pnrr

“Per i giovani del Sud è come se il tempo si fosse fermato”. L’Istat ha usato questa immagine per descrivere la condizione di chi, nel Mezzogiorno d’Italia, ha trent’anni, se lavora lo fa in maniera del tutto precaria, è costretto a continuare a vivere in famiglia e non può fare progetti per il futuro. Sta di fatto che l’istituto di statistica, nel suo report “I giovani del Mezzogiorno, l’incerta transizione all’età adulta”, ha anche sottolineato come questo stato di cose mini il futuro di tutta la società italiana, non solo delle regioni più svantaggiate.

I numeri sono davvero impietosi: per disoccupazione, partecipazione al lavoro, divario di genere, Neet e tasso di laureati, il Sud si conferma come una delle aree più arretrate addirittura a livello continentale. Facendo un focus tra chi ha tra i 18 e i 34 anni, se, prima di tutto, nel 1994 essi erano 15 milioni, oggi sono ridotti a 10 milioni, con la quota dei residenti al Sud ancora significativa ma in calo: era del 38,5% nel 2002, è diventata del 36% vent’anni dopo.

In media, i giovani italiani sono appena il 17,5% della popolazione, il valore più basso d’Europa, con la Campania che mantiene per un soffio la migliore posizione col 19,9%.

In ogni caso, se in Europa 5 giovani su 10 hanno lasciato la famiglia d’origine, nel Nord Italia lo hanno fatto solo in 3 e nel Mezzogiorno appena in 2. All’età critica di 33 anni, nel Sud, ancora il 41,5% vive con i genitori, il doppio rispetto al centronord, ma anche il doppio rispetto a chi nel Sud aveva 33 anni nel 2001. Di conseguenza, non stupisce che vent’anni fa il 55% dei 34enni aveva già procreato: adesso appena il 40%.

Ma perché i giovani meridionali fanno sempre più fatica a vivere da soli e mettere su famiglia? Gli effetti della grande crisi partita nel 2008 nel Mezzogiorno non sono stati ancora assorbiti e si registra, dice l’Istat, “l’incremento di lavori atipici o non standard e di tutte le varie forme di precariato indotte dalle trasformazioni strutturali del mercato del lavoro e dall’andamento del ciclo economico”.

Il tasso di occupazione tra i giovani meridionali è tragicamente basso, con appena il 31,7% per le donne (contro il 59,3% per le coetanee del centronord). In Calabria, appena un giovane su dieci ha un’attività a tempo indeterminato.

Sta di fatto che una luce in fondo al tunnel potrebbe essere ravvisata: “Nel Mezzogiorno – scrive l’Istat – la quota di bassa istruzione appare in visibile decremento e rappresenta il 24,4% mentre era il 41,5% fra i giovani della generazione precedente. Nel 2021, poi – prosegue l’Istat – c’è stato anche un sorpasso che potrebbe assumere un rilievo storico perché le immatricolazioni universitarie dei meridionali hanno superato in termini percentuali quelle dei coetanei del centronord. In quattro regioni (Abruzzo, Molise, Calabria e Basilicata) ogni 100 diciannovenni 60 si iscrivono all’università. In Lombardia sono 51 su 100”.

Però c’è anche qui un rovescio della medaglia: il 28,5% delle matricole universitarie meridionali si iscrive in atenei fuori dal Meridione contro appena il 3,6% di chi dal Nord si sposta al centrosud. E al momento della laurea, ben il 39,8% si è trasferito altrove. Il Sud, insomma, sta reagendo alla crisi scommettendo sulla formazione. Ma i suoi giovani più qualificati finiscono con il rafforzare i territori già economicamente forti. Per l’Istat, allora, l’ultima possibilità di salvezza potrebbe essere il Pnrr col suo Next Generation Ue: a rischio, per ampie aree del Mezzogiorno, è la stessa “tenuta demografica”. Vale a dire la desertificazione.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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