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La crescita trainata dai contratti a tempo indeterminato

Bankitalia: l'aumento delle stabilizzazioni è stata favorita anche dal basso tasso di licenziamento

In un contesto di debolezza dell’attività economica, nel 2024 l’occupazione ha rallentato, è quanto messo in evidenza da Bankitalia nel suo ultimo report. Ma di quanto? Il numero di occupati e le ore lavorate sono aumentati rispettivamente dell’1,6 e del 2,1 per cento, contro l’1,9 e il 2,5 nel 2023. La crescita è stata trainata dal lavoro dipendente a tempo indeterminato, a fronte di un calo di quello a termine, che risente maggiormente del ciclo economico. Il lavoro autonomo è salito in misura più limitata, restando al di sotto dei livelli precedenti la pandemia.

L’incremento delle posizioni permanenti alle dipendenze ha interessato prevalentemente la popolazione con almeno 50 anni, per effetto sia dell’invecchiamento demografico sia del rallentamento dei flussi in uscita dal mercato del lavoro, dovuto in parte alle passate riforme pensionistiche.

Secondo i dati dell’Inps, la crescita dei contratti a tempo indeterminato è stata favorita anche dal basso tasso di licenziamento e dall’alto numero di trasformazioni dei contratti temporanei in essere. Si sono invece ridotte le assunzioni a termine e per i giovani.

L’aumento delle ore lavorate per addetto (0,5 per cento) è stato sospinto dal minore ricorso al part-time, la cui incidenza, secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro (RFL) dell’Istat, è scesa di quasi un punto percentuale (al 16,8 per cento nella fascia di età tra 15 e 64 anni). È ancora diminuita la quota di coloro che svolgono un lavoro a orario ridotto, ma ne desidererebbero uno a tempo pieno (al 51,3 per cento,
dal 54,8 nel 2023; 65,6 nel 2019).

Il maggiore utilizzo del lavoro come input è stato favorito anche dalla moderazione salariale dell’ultimo triennio, che lo ha reso relativamente più conveniente nel confronto con gli altri fattori di produzione; la crescita dell’occupazione è stata più accentuata di quella del prodotto, e di conseguenza la produttività è calata.

Secondo i Conti economici nazionali, l’espansione del numero di occupati ha interessato tutti i settori. Rispetto al 2023 si è intensificata la crescita nei comparti dell’Amministrazione pubblica, dell’istruzione e della sanità, per effetto delle assunzioni nel pubblico impiego e del rafforzamento della domanda di lavoro nella componente privata dell’istruzione e della sanità. Anche il comparto edile ha riacquisito vigore, grazie all’aumento degli investimenti pubblici, tra cui quelli finanziati dal PNRR.

Si è invece ridotto il contributo sia dei servizi tradizionali, in particolare del turismo e del commercio, che pure è rimasto rilevante, sia dei servizi più avanzati, specificamente il comparto dell’informazione e comunicazione (information and communication technology, ICT) e le attività professionali, che erano cresciuti a ritmi sostenuti negli anni passati. È diminuito anche il contributo dell’industria in senso stretto che ha risentito della debolezza congiunturale, confermata da un marcato incremento delle ore autorizzate di Cassa
integrazione guadagni (29,4 per cento).

L’accelerazione dell’occupazione nelle costruzioni, nell’Amministrazione pubblica, nell’istruzione e nella sanità ha sospinto il tasso di crescita nel Mezzogiorno al di sopra del dato del Centro Nord (2,2 e 1,2 per cento, rispettivamente); al netto di questi settori, l’andamento sarebbe stato più simile (1,5 contro 1,1 per cento).

L’incremento del numero di occupati nelle regioni meridionali è maggiore di quello che si sarebbe osservato se si fosse mantenuta la tendenza degli anni precedenti la pandemia, sebbene il divario rispetto alle regioni centro-settentrionali resti consistente.

Dopo l’emergenza sanitaria si è ampliata la domanda sia nelle professioni tradizionali, ad esempio quelle legate alle costruzioni, sia nelle professioni specializzate, tecniche o esecutive, come quelle connesse con i servizi ICT. La dinamica non è stata però omogenea tra classi di età: i più giovani hanno soddisfatto maggiormente la domanda di professioni ad alta qualifica; nella popolazione con almeno 55 anni si è invece accentuata l’importanza relativa delle professioni meno qualificate. Tale fenomeno potrebbe in parte riflettere gli effetti delle riforme previdenziali, che hanno allungato la vita lavorativa soprattutto per i lavoratori con profili medio-bassi, poiché quelli più qualificati tendevano ad andare in pensione più tardi anche in precedenza. Infine, c’è da dire che all’inizio del 2025, il numero degli occupati ha ricominciato a crescere in maniera decisa, beneficiando degli investimenti connessi con il PNRR. L’espansione dell’occupazione è proseguita tra i più anziani ed è ripresa tra i giovani.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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