
L’inflazione, si sa, è una grande tassa occulta che pesa in particolare sui redditi fissi da lavoro dipendente. Questo, perché i contratti di lavoro si rinnovano, se va bene (basti pensare che oggi nel 50% dei casi sono scaduti), ogni tre anni. Da qui l’emergenza salari.
Ma la vera misura di quanto guadagnano le persone la dà quello che in economia si chiama salario reale, cioè il salario rapportato ai prezzi.
Ebbene: secondo i dati Ocse, l’Italia è, tra le grandi economie, il Paese in cui i salari reali sono diminuiti di più nell’ultimo anno: meno 7,3%. Ma il problema vero è che piove sul bagnato. Nel senso che i salari reali, in Italia, sempre secondo l’Ocse, erano già scesi del 2,9% dal 1990 al 2020.
Tutto questo, come si traduce nella realtà di ogni giorno? Che è diventato impossibile comprare una casa, ad esempio. L’aumento dei tassi di interesse deciso dalle banche centrali per combattere l’inflazione ha avuto conseguenze, infatti, sul costo dei mutui: oggi sono molto più costosi anche solo rispetto a qualche anno fa.
Nel 2020, il tasso di interesse fisso si aggirava sull’1%, mentre oggi è intorno al 4%. Ora: al netto delle leggere variazioni a seconda delle offerte delle diverse banche, si tratta comunque di un aumento considerevole.
Ad esempio: nel caso di un mutuo di 120 mila euro da restituire con un tasso fisso dell’1% in 30 anni, il valore degli interessi da restituire ammonta a 19 mila euro. Se il tasso di interesse passa al 4%, il valore degli interessi sale invece a ben 86 mila euro.
Di conseguenza, l’attuale situazione ha già ridotto significativamente le richieste di mutuo: non tutti possono permettersene uno a questi costi.
Sta di fatto che la decisione della Banca Centrale Europea di rialzare i suoi principali tassi di interesse è stata criticata, ma è in linea con l’obiettivo delle banche centrali di contrasto all’inflazione: in contesti come il nostro, deve essere abbassata anche a scapito della crescita economica.
C’è, tuttavia, un elemento di novità rispetto al passato. Per quanto i tassi di interesse intorno al 4% siano relativamente bassi rispetto agli scorsi decenni – in cui si superava anche il 10% – i redditi stagnanti fanno sì che questi aumenti abbiano un peso maggiore sul bilancio di famiglie e imprese.
Anche per questo, quindi, la politica chiede a gran voce che gli aumenti dei tassi di interesse si fermino. Ma questo non accadrà finché l’inflazione non avrà smesso di crescere.
A tal proposito: i nuovi dati sull’inflazione mostrano che è in calo dal 10% del 2022 al 5% nel 2023 e che potrebbe scendere ulteriormente al 2%, come da obiettivo della Banca Centrale Europea. Anche raggiunto questo obiettivo, però, non è detto che i tassi scendano subito e, quindi, i comuni mortali potrebbero dover aspettare ancora un po’ prima di ottenere finalmente un mutuo. E le sospirate chiavi della loro casa.