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Come se la passano le mamme-lavoratrici? Il rapporto di Save the Children

Il 20% delle donne smette di lavorare dopo essere diventata madre

Dopodomani, domenica 11 maggio, ricorre la Festa della mamma. E come tutti gli anni, Save the Children ha pubblicato il rapporto – è il decimo della serie – sulle mamme-lavoratrici: come se la passano? Ancora oggi, le diseguaglianze di genere nel mondo del lavoro, lo sbilanciamento tra carichi di cura e vita professionale a sfavore delle donne, l’insufficienza o l’assenza dei servizi per la prima infanzia condizionano la vita e il benessere delle madri. Non sorprende, quindi, se la natalità tocca il minimo storico con solo 1,18 figli per donna e che il 20% delle donne smette di lavorare dopo essere diventata madre.

In Italia le madri sono sempre più sole e penalizzate, e quelle che si trovano spesso ad affrontare ulteriori difficoltà in termini di supporto sociale e stabilità economica sono le mamme single: poco più di 1 mamma single su 2, tra i 25 e i 34 anni, lavora.

Questi sono solo alcuni dei dati raccolti nella decima edizione de “Le Equilibriste – La maternità in Italia 2025”.

In Italia, il 2024 ha registrato un nuovo record negativo delle nascite con soli 370.000 nuovi nati, una flessione del 2,6% rispetto all’anno precedente. L’età media delle madri al parto ha raggiunto i 32,6 anni. In questo panorama di crisi demografica, le donne sono penalizzate nel mondo del lavoro, con divari occupazionali e retributivi a danno di tutte, ma per le madri la situazione rimane critica in molte aree del Paese. Tra loro, le madri sole con figli minorenni devono superare gli ostacoli maggiori.

Nel rapporto troviamo anche le ripercussioni sul lavoro a causa dello sbilanciamento tra carichi di cura e vita professionale, i sistemi di sostegno alla genitorialità nel nostro Paese e la fragilità delle mamme single e di quelle che per lavorare in Italia lasciano i figli nel Paese di origine, e il divario tra le regioni più o meno “mother friendly” nella classifica elaborata in esclusiva dall’Istat.

Più di una donna su quattro, il 26,6%, nel nostro Paese è a rischio di lavoro a basso reddito, mentre la stessa condizione interessa un uomo su sei, cioè il 16,8%.

Su 146 Paesi nel mondo, l’Italia occupa il 96° posto per partecipazione femminile al mondo del lavoro. Se guardiamo invece il dato sul gender gap retributivo, ci troviamo alla 95esima posizione.

I dati sul divario salariale a sfavore delle donne aumentano ancora di più quando queste decidono di mettere al mondo un figlio. Parliamo quindi di “child penalty”, evidenziata nei dati di seguito, per cui mentre gli uomini con figli sono più presenti nel mercato del lavoro rispetto agli uomini senza figli, per le donne avere figli è associato a una minore occupazione lavorativa.

Il 77,8% degli uomini senza figli è occupato, ma la percentuale sale al 91,5% tra i padri (92,1% per chi ha un figlio minore e 91,8% per chi ne ha due o più), mentre per le donne la situazione è molto diversa, poiché lavora il 68,9% tra quelle senza figli, ma la quota scende al 62,3% tra le madri (65,6% per chi ha un figlio minore e 60,1% con due o più).

Il 20% delle donne, infatti, smette di lavorare dopo essere diventata madre, spesso a causa dell’assenza di servizi per la prima infanzia e della mancanza di condivisione dei compiti di cura nelle famiglie, che rendono inconciliabile lavoro e vita familiare. Secondo alcune stime preliminari, inoltre, questa percentuale salirebbe di 15 punti, arrivando al 35%, tra le madri di figli con disabilità.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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