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Solo il nucleare può garantire la transizione green dell’ex Ilva

Nucleare transizione green Ilva
In un luogo simbolo del lavoro italiano, una partita che sembra prevedere solo un finale (positivo)

Uno dei luoghi simbolo del lavoro in Italia è senz’altro l’acciaieria ex Ilva di Taranto. Ma ora, sarà davvero possibile una sua riconversione green? Sarà davvero possibile conciliare il diritto al lavoro con quello della salute di un’intera città?

Nei giorni scorsi, il governo Meloni ha presentato un finanziamento da 150 milioni di euro e il nuovo piano industriale di Acciaierie d’Italia, la società in amministrazione straordinaria che gestisce lo stabilimento pugliese.

Il piano mira non solo a rimettere sul mercato l’ex Ilva, ma anche ad allinearla agli obiettivi sul clima che si è data l’Unione Europea. E’ necessario, dunque, che l’attività siderurgica, classificata tra i processi ad alta intensità energetica e a difficile decarbonizzazione, riduca le sue emissioni di gas serra quanto prima.

Oggi, il settore dell’acciaio vale circa il 7% delle emissioni globali di CO2, più del trasporto aereo e marittimo messi insieme. Ma è anche vero che si prevede che la domanda di questa lega crescerà del 20% entro il 2050, stimolata, com’è, dalla costruzione di edifici e infrastrutture.

Il piano industriale di Acciaierie d’Italia prevede allora la costruzione di due forni elettrici nel sito di Taranto, in sostituzione di altrettanti altiforni: i lavori dovrebbero cominciare l’anno prossimo e concludersi nella seconda metà del 2027 garantendo una produzione di quattro milioni di tonnellate.

Ora: se l’elettricità fornita a questi forni verrà generata da fonti pulite, come le rinnovabili o il nucleare, il risparmio emissivo sarà, naturalmente, ancora maggiore. E probabilmente, l’unica, vera opzione di lungo periodo per il rilancio dell’ex Ilva passa proprio attraverso la seconda opzione: l’energia nucleare.

A tal proposito, il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha detto che presto si potranno avere nuovi scenari con la sua presenza nel mix energetico italiano dal 2030 al 2050. Pichetto, nello specifico, ha fatto cenno alla possibilità di “piccoli reattori gestiti da consorzi di imprese”.

La disponibilità di energia atomica – stabile, a zero emissioni e a basso costo – ha giocato, del resto, un ruolo decisivo nell’investimento in Francia di ArcelorMittal, il gruppo indiano-lussemburghese che controllava Acciaierie d’Italia prima dell’amministrazione straordinaria.

La competitività dell’acciaio verde si lega strettamente al costo dell’energia. E proprio per alimentare la siderurgia green i reattori nucleari sembrano rappresentare la soluzione più conveniente: producono energia in maniera continuativa, senza subire l’influenza del meteo e senza doversi appoggiare ad accumulatori esterni. Last but not least, occupano anche meno spazio rispetto ai parchi eolici e fotovoltaici.

E quindi: simbolicamente, l’Unione Europea, nata dall’acciaio, se ha intenzione di mantenere questa associazione anche in futuro, deve puntare anche sul nucleare sicuro. Il piano RepowerEu, dedicato all’accelerazione della transizione ecologica, prevede che al 2030 il 30% della produzione primaria di acciaio sarà decarbonizzata grazie all’idrogeno. Ma la partita industriale, con migliaia di posti di lavoro in gioco, resta difficile senza la tecnologia dell’atomo.

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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