Le parole pronunciate dalla presidente del Consiglio durante la conferenza stampa di fine anno hanno riportato al centro del dibattito pubblico il tema dell’intelligenza artificiale e, in particolare, quello dei suoi effetti sul mercato del lavoro.
«Rischiamo un impatto devastante. Questa è una valutazione che va fatta seriamente e non so dire se siamo ancora in tempo», ha detto Giorgia Meloni dopo che anche il capo dello Stato, Sergio Mattarella, aveva sottolineato la necessità di «valutare con attenzione gli effetti dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro» nel nostro Paese.
I numeri, in effetti, lasciano tutt’altro che tranquilli. Secondo Confartigianato, in Italia il 36,2% dei lavoratori sarà coinvolto nell’ennesima trasformazione epocale del mercato del lavoro, potenzialmente ancora più devastante di quella che nell’Ottocento portò alla meccanizzazione di ampi settori dell’industria o di quella che circa 40 anni fa spianò la strada al massiccio utilizzo dei computer. Non a caso rischia il posto il 25,4% dei lavoratori assunti nel 2022, cioè un milione e 300mila persone di cui 729mila nelle piccole imprese con meno di 49 addetti. E sebbene il Centro-Nord appaia più esposto, con regioni come Lombardia in cui più del 35% della forza lavoro potrebbe essere sostituito dai robot, il pericolo è che la nuova rivoluzione travolga quel che resta del mercato nel lavoro nel Mezzogiorno. Sempre secondo Confartigianato, infatti, a rischio è il 16,7% dei lavoratori in Basilicata e il 19,8% in Puglia, dove il 6,7% delle piccole imprese nel settore manifatturiero ha già automatizzato alcune fasi della produzione.
In Italia sono attivi due gruppi incaricati di approfondire la questione: il comitato dei 13 saggi, chiamato a redigere entro gennaio 2024 un documento contenente le indicazioni sull’intelligenza artificiale, e la commissione, fino a pochi giorni fa presieduta da Giuliano Amato, incaricata di valutare i rischi del ChatGpt nell’editoria e nel giornalismo. In più, Meloni ha manifestato la volontà di inserire, nel programma del G7 che si svolgerà nel prossimo mese di giugno in Puglia, un focus sull’intelligenza artificiale e sul suo possibile impatto sull’occupazione.
In questo scenario, qual è l’errore da scongiurare? Di sicuro va evitata la furia cieca che ha portato l’Unione europea e l’Italia a spingere sulla cosiddetta transizione green ignorando o quasi l’impatto che quest’ennesima trasformazione epocale ha su industria e mercato del lavoro. L’intelligenza artificiale, infatti, non dev’essere il fine, ma può essere lo strumento attraverso il quale esaltare le competenze, la creatività e l’esperienza di imprenditori e lavoratori.
Non c’è robot che possa replicare “l’anima” di migliaia di prodotti e servizi che hanno reso unico il made in Italy. Concretamente, tutto ciò deve tradursi in investimenti su un’adeguata formazione professionale dei lavoratori, che dovranno aggiornare le proprie competenze, e su una solida protezione sociale, indispensabile per evitare che migliaia di persone vengano espulse dal mercato. A meno che non si voglia imboccare il pericoloso crinale che conduce a un’economia a bassa intensità di lavoro e, dunque, di povertà.