Quali sono i motivi che spingono a lasciare il lavoro? Li ha classificati la Cisl Lombardia intervistando un campione di 17 mila lavoratori che nel post pandemia hanno presentato dimissioni volontarie con questi risultati.
L’eccesso di stress è stato la prima causa degli addii per il 36%. A seguire, il clima aziendale e le relazioni professionali (34,9%). Quindi la prospettiva di un miglioramento economico (29,5%). La necessità di una maggiore conciliazione vita-lavoro (26,2%). La ricerca di un lavoro più stimolante (14,2%). La voglia di cambiamento (14%). Le prospettive di maggior stabilità contrattuale (11%). Le motivazioni geografiche (8,8%). Il desiderio di anticipare il ritiro dal lavoro (7,2%). La necessità di curare i familiari (6%). Infine, una maggiore identificazione con i valori aziendali (2,55).
E quindi: il fenomeno della Great Resignation, le “grandi dimissioni” ha varie cause. L’Inps ha riscontrato nel 2022 un aumento del 26% delle dimissioni volontarie rispetto al 2019, con un record storico di 1,18 milioni di addii. Tuttavia, esaminando gli ultimi dati Istat sul tasso di ricollocazione, più che di Great Resignation sarebbe corretto parlare di Great Reshuffle (“grande rimescolamento”). Infatti, l’aumento dei contratti a tempo indeterminato, i tassi di occupazione ai massimi storici e un aumento complessivo delle assunzioni fanno da traino a una volontà di cambiamento piuttosto che di uscita dal mercato del lavoro. E, in effetti, l’analisi dei tassi di ricollocazione supporta questa lettura in quanto evidenzia una maggiore mobilità tra i lavoratori alla ricerca di condizioni migliori.
Ma chi sono i protagonisti di questo cambiamento? Soprattutto i giovani della generazione Z: cresciuti in un contesto di crisi economica, mostrano un approccio più flessibile e orientato alla ricerca della felicità personale.