Proprio ieri, con Lucia Gargiulo, ci siamo occupati del Bonus mamme. Ma questa mattina La Stampa ha fatto scattare un allarme aprendo il giornale con questo titolo: “Pasticcio bonus mamme, bloccati gli sgravi fiscali”.
Di cosa si tratta? In pratica, il giornale diretto da Andrea Malaguti spiega che per colpa della burocrazia la lotta contro l’inverno demografico e la conseguente decontribuzione per mamme lavoratrici – a tempo indeterminato – con almeno due figli slittano di almeno un mese.
Insomma: il bonus Meloni parte in salita. Dopo che l’iter della legge di Bilancio ha definito i termini per l’accesso – ridotti a poco meno di 700 mila donne nel settore privato – e ridotto il diritto al beneficio a un solo anno per chi ha due figli e a tre per chi ne ha di più, adesso si sposta più in là anche l’effetto positivo. Almeno di un mese.
“La colpa, però – si legge nel pezzo di Giuliano Balestreri – non è tanto dell’esecutivo che per la decontribuzione in via sperimentale ha stanziato circa 450 milioni di euro, quanto dei gangli della burocrazia che tengono ingessato il Paese. E in questo caso dell’Inps che non ha pubblicato la circolare esplicativa necessaria alle aziende per calcolare il dovuto nei cedolini di gennaio. Il risultato è che a gennaio nessuna lavoratrice con almeno due figli ha visto in busta paga l’agognato aumento di circa 140 euro netto. Una beffa. Anche perché la presidente del consiglio, Giorgia Meloni, aveva spiegato che sulla famiglia la misura più significativa prevista in legge di bilancio riguarda il tema della decontribuzione delle madri. Noi prevediamo che le madri con due figli o più non paghino i contributi a carico del lavoratore”.
Un impegno preso, proprio a partire da gennaio con queste parole d’ordine: “Il concetto che vogliamo stabilire è che una donna che mette al mondo almeno due figli, in una realtà in cui noi abbiamo disperato bisogno di invertire i dati sulla demografia, ha già offerto un importante contributo alla società, e quindi lo Stato cerca di compensare pagando i contributi previdenziali”.
Sta di fatto che l’iter parlamentare e la necessità di tenere in ordine i conti pubblici hanno poi costretto l’esecutivo a rivedere al ribasso le proprie ambizioni. L’esonero contributivo da totale che avrebbe dovuto essere è stato ridotto a un massimo di 3 mila euro, senza limiti reddituali: circa 1.700 euro l’anno, poco più di 140 euro al mese. E la norma che nei piani della premier avrebbe dovuto essere strutturale da subito è stata “trasformata” in sperimentale. Tradotto: verrà applicata solo nel 2024 per le donne lavoratrici con due figli di cui uno con meno di 10 anni e fino a tutto il 2026 per le madri con tre figli di cui uno ancora minorenne. Se la norma funzionerà e ci saranno coperture a sufficienza, la prossima legge di Bilancio potrebbe prorogare il provvedimento.
In ogni caso, per ora, a bloccare l’aumento in busta paga è l’Inps: l’istituto, riporta sempre La Stampa, spiega che la circolare per dare istruzioni ai datori di lavoro è ancora in fase di stesura. Ma, una volta redatta, il suo iter ancora non sarà completato in quanto dovrà essere sottoposta all’approvazione del Ministero vigilante: solo allora sarà inviata ai datori di lavoro per darvi esecuzione.
Quel pasticciaccio brutto del Bonus mamme: così diventa un boomerang