
Non è affatto un luogo comune errato dire “mi sono così stressato per finire di ammalarmi”. A specificarlo è stato Robert Nisticò, presidente dell’Aifa nonché professore ordinario di farmacologia e psichiatria.
Quando la pressione sul posto di lavoro diventa insopportabile, il dirigente oppressivo, il futuro incerto ecco che lo stress inizia a farsi sentire. Gradualmente, ma inesorabilmente.
La prima tappa è qualche allarme: tutto comincia con un aumento dell’adrenalina e dei corticoidi circolanti e con uno stato di tensione emotiva. A quel punto, si passa ai tentativi di resistenza, ossia allo sforzo di adattamento biologico e comportamentale agli stimoli esterni.
Se l’operazione fallisce, scatta l’esaurimento, con sintomi comuni a tutti i tipi di stress: alterazione del ritmo cardiaco e della pressione arteriosa. Ma anche problemi all’apparato digerente, iperidrosi, formicolii. Il problema è che lo stress, da lavoro o meno, attraverso l’aumento del cortisolo endogeno – l’ormone per l’appunto simbolo dello stress – finisce per impattare su ben quattro sistemi: quello neurologico, psicologico, immunologico ed endocrinologico.
Alla fine, tutti e quattro, parlandosi tra loro, da un lato finiscono per attenuare le difese immunitarie, predisponendo il lavoratore stressato a patologie sia acute che croniche. Dall’altro, l’0impatto negativo ovviamente c’è anche sul sistema nervoso, tanto più se lo stress sul lavoro da temporaneo si trasforma in burnout, ossia cronico.
Questo fa scattare ansia, aggressività, perdita di autostima, fino alla depressione. Disturbi che possono ricadere sull’intera società quando colpiscono personale come quello sanitario. Basti pensare che una recente indagine della Fadoi ha stimato che il 52% dei medici internisti e il 45% degli infermieri siano in burnout, con un prezzo altissimo da pagare, visto che questa condizione genererebbe 100 mila errori l’anno.